Dopo quasi 2 anni e mezzo dal discreto "The Days Of Grays",ritornano i Sonata Arctica, una delle band finlandesi che negli ultimi anni ha riscosso un buon successo nella scena metal europea. Del power metal classico dei primi album è rimasto ben poco, ma questa non è una novità per i fans di questa band.

Se negli ultimi album i Sonata Arctica avevano aggiunto elementi progressive ed alleggerito abbastanza il sound spingendosi in territori musicali meno power e più soft, in questo ultimo lavoro "Stones Grow Her Name" la direzione intrapresa dalla band è molto chiara: ulteriore sperimentazione aggiungendo al proprio sound elementi nuovi e cercando canzoni abbastanza immediate. Una testimonianza lo è il singolo I Have A Right, brano radiofonico e molto pop, basatao su un tema che alla fine di resta in testa per forza. Oppure basta prendere i primi due brani del disco Only the Broken Hearts (Make You Beautiful) e Shitload of Money per ascoltare suoni di chitarra non soliti, che addirittura mi ricordano in certi frangenti gruppi tipo i Ramstein, e la cosa sinceramente non mi è piaciuta.

Per fortuna però in questo disco, rispetto al precedente, la chitarra si sente eccome e si fa notare, suoni a parte, brillantemente sia nelle parti ritmiche che in quelle soliste. In Losing My Insanity, il brano che ho preferito, si ritorna su terreni quasi power metal e ritorna anche il bellissimo incrocio fra assoli di chitarra e tastiera. Dopo l'aggressiva e non troppo melodica Somewhere Close To You, arrivano i brani forse meglio riusciti di tutto il disco. Alone In Heaven passa da un inizio acustico, a delle strofe azzeccate e dei ritornelli da concerto, quindi di ottima presa; con The Day si tocca a mio giudizio uno dei punti migliori dell'album. Atmosfere dolci e un po' malinconiche tracciate dalle tastiere e una varietà della canzone che non perde però quel gusto melodico che è nel dna della band, una canzone riuscitissima.
Cindlerbox potrebbe spiazzare qualunque ascoltatore per la presenza di strumenti atipici per una band metal (o rock se preferite) come l'uso contemporaneo di banjo, contrabbasso e violino, i quali si mischiano alla band in maniera originale. Forse un po' confusionaria ma sinceramente a me ha preso subito; forse troppo sperimentale ma la canzone scorre via molto piacevolmente. Dopo questo episodio particolare, ecco la ballad che ci aspettiamo in un cd dei Sonata Arctica. Non siamo ai livelli delle ballad migliori della band, sia a livello di gusto che a livello compositivo. Don't be mean non si avvicina a brani come Last Drop Falls o Tallulah, ma riesce comunque ad emozionarmi, grazie alla voce espressiva di Tony Kakko unita all'entrata in scena del violino, il quale disegna una melodia triste ma assolutamente efficace.

Infine ecco le due Wildfire, episodi che continuano la Wildfire presente in Reckoning Night; brani della lunghezza di 7 minuti, per i quali servono diversi ascolti prima di metabolizzarli bene. Tutta la sperimentazione citata prima si manifesta in questi ultimi brani. Tanti buoni spunti rimessi insieme ogni tanto molto bene e in certi punti un po' meno.

Nel complesso però sono rimasto assolutamente soddisfatto da questo lavoro, in quanto rispetto all'ultimo disco, in questo "Stones Grow Her Name" tutti gli elementi della band danno il loro apporto al disco. I Sonata Arctica sono una delle mie band preferite e quindi mi aspettavo un riscatto rispetto agli ultimi due album che avevano avuto diversi passaggi a vuoto. Qui non c'è la perfezione che ritrovo su "Silence" o a livello di suoni su "Winterheart's Guild", ma quanto meno ci si avvicina abbastanza. Abbastanza per esprimere un voto favorevole al disco. Brani come Losing My Insanity o The Day, per citarne solo due, entrano a mio parere nei migliori pezzi della loro discografia. La band si rilancia ulteriormente nel panorama musicale odierno ed è ben lontana dall'eclissi. La classe di un compositore come Kakko e l'abilità degli altri membri è ancora in ottima salute. Bel lavoro.

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