Ciao a tutti, faccio il mio esordio in un nuovo sottogenere di DeBaser: dopo cinema e musica "minori", anche concerti "minori", nella specie quello dei Sonic Youth svoltosi lo scorso sabato in quel di Bolzano/Bozen. Minori perché, ovviamente, si svolgono un poco al di fuori del mainstream, discosti da organizzazioni come quelle che sovrastanno ai concerti negli stadi gremiti di persone, o nelle rovine romane trasformate, per l'occasione, in luogo d'incetta di fan adoranti, spesso improvvisati ed attratti da notti bianche, o in bianco.

Cominciamo con la narrazione dei fatti, dunque.

Sabato parto di buon ora da casa e mi faccio un lungo giro di quasi 400 km per giungere a destinazione, con ovvia tappa intermedia all'autogrill a ponte per il camogli e la coca cola d'ordinanza, oltre che per uno sguardo fugace all'under 21 assieme ad un camionista. Altre soste turistiche, ed arrivo a Bolzano verso le 21.20: il concerto si trova poco lontano dall'uscita Bolzano sud, in una periferia anonima, fatta di concessionarie d'auto e capannoni industriali, ma tutto sommato linda e geometrica, come ci si aspetta da una città tedesca casualmente finita entro i confini del Belpaese, assieme ad una parte dei propri abitanti.

Il luogo dove si tiene il concerto è adeguato al contesto e, nel complesso, alla ricetta musicale degli (ex) giovani sonici: si tratta di una sorta di capannone in cui si stagliano le ombre di impianti industriali, le travature in cemento armato, le porte enormi un tempo utilizzate per l'accesso ed il recesso che una vecchia conoscenza albanese definiva i "camiòni". Un luogo dove, un tempo, giravano forse le onde sonore di una realtà industriale, ed oggi, gli assalti di un gruppo che coniuga rumorismo, ricerca e foga post punk.

L'età dei presenti - non tantissimi, credevo di più - mi colpisce non poco: gli under 20 sono assai scarsi, mentre la maggioranza è composta di ultratrentenni o giù di lì, a riprova del fatto che questa musica, che ancora mi ostino a reputare moderna e d'avanguardia, non è così nota alle nuove generazioni (escludo che non abbiano i soldi per un biglietto a prezzo calmierato) ed appartiene, a suo modo, al passato.

Quasi che tutti i presenti arrivino qui - essi sì - in ritardo di vent'anni con la storia della musica giovane, e lasciate le preoccupazioni del quotidiano, riaccese delle sigarette dal sospetto odor acre, cerchino di riprendersi l'età perduta ed un'alternativa al loro essere divenuti ordinari, o meno alternativi di quel che credevano. Con sorpresa, constato che fra essi vi è una mia antichissima fiammella, la quale, ai tempi, non conosceva i Sonici: e mi chiedo se il merito di chi l'abbraccia ora, e dove siano finite le mc impolverate che le duplicavo per sdoganarla dall'amore per i cantautori.

Mentre osservo queste cose, un trio di supporto apre il concerto con dei suoni strani, che mescolano sapori orientali con crauti ed atmosfere dilatate: chi è con me osserva, effettivamente, che in altri tempi e contesti avremmo esaltato costoro e smerciato la loro roba come Arte. Oggi, un poco ci annoiano, e, con sollievo, alle 22.12 circa, vediamo salire sul palco i Sonic Youth.

Il gruppo è in ottima forma: Thurston Moore, con i capelli tinti, è il vero frontman e l'anima rock del quartetto (stasera quintetto perché c'è un incongruo secondo bassista!), colui che rende fruibili le distorsioni ed flussi sonori del gruppo; mi fanno sorridere il suo headbanging, come se avesse venti o trent'anni, i capelli sventolare, ed il pubblico, invecchiato con lui, che lo segue; Kim Gordon porta i segni della menopausa con un po' di adipe sul pancino - lontani i tempi di Evol - e gioca sul fascino bambino in baby doll colorato: non è simpatica, sebbene qualcuno la reputi appetibile - e non ha gran tecnica. Si ostina con i suoi balletti, ogni tanto, simulazioni di orgasmi che furono (o che sono? Spero che lavorare insieme non abbia spento gli ardori della coppia), mentre la sua pur non eccelsa voce rende bene, dal vivo, dona espressività e dolore alla musica, ciò che in effetti ho sempre apprezzato dei Sonic. Steve Shelley, dietro le pelli, è un po' imbolsito ma bravo a recitar la parte del batterista pieno di foga ed impeto, mentre io tempo per il suo cuore. Lee Ranaldo se la passa meglio: il capello sale e pepe gli dona (non è mai stato giovane, in fondo) è simpatico e sorride, tortura la sua chitarra con bacchette, stile ora fluido ora percussivo, facendola urlare di tortura, e dando quel tocco d'avanguardia da Grande Mela al suono del gruppo. Sembra di essere negli anni '80, ora.

La scaletta alterna pezzi tratti dagli ultimi album (bella Incinerate!) a super classici del tempo andato, tratti principalmente da "Sister" e "Daydream Nation" (ma con grande scorno di chi scrive niente Teenage Riot). Sacrificati "Goo", "Experimental...", e "Dirty" (tranne 100% come bis). Il mestiere c'è, la passione anche, il pubblico risponde, sebbene il concerto termini dopo meno di due ore, senza grandi sconvolgimenti. Mancano però la novità, l'esperimento, l'inedito, lo sconvolgente, il possibile. Sono Sonici, non troppo Youth.

Tornando a casa, fermo per la sosta notturna all'autogrill, mi chiedo se ho fatto bene a conoscere i miei "idols" dal vivo: nella parte in cui, vedendoli mortali, li ho uccisi, sì (ma il sesso non è confusione). E mentre penso all'avanguardia che fu, mi cascano gli occhi sul cestone dei cd italiani. Meglio, forse.

Giovanilmente Vostro,

Il_Paolo

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