Mi ricordo che tornavo a casa da scuola, nel mentre attendevo mia madre e così anche il mio pranzo, iniziavo a fantasticare, se questa volta, proprio questa volta, sarebbe stata lei la ragazza con cui mi sarei completato. Fisicamente e spiritualmente. Il pranzo. Una pasta al pomodoro al volo, mia madre aveva un'ora di tempo poi sarebbe tornata in ufficio e comunque sia prima della chiusura del bar della scuola, Alfonso, un ex allievo pluribocciato e probabilmente poco adatto allo studio che aveva però la fortuna di avere i nonni gestori del bar del liceo classico "Dante Alighieri", mi aveva venduto un medaglione, prosciutto cotto e formaggio, a millelire invece che due, e così, non avevo poi molta fame. Ovviamente sarebbe facile pensare che era il viso o il corpo o la voce di lei a bloccarmi lo stomaco. Non era così. Era il pensiero della compilation che le avrei regalato il giorno dopo a farlo.
Ora chiaramente come molti di voi sapranno allestire una compilation (in cassetta, audiocassetta, nastro magnetico) per una ragazza era una cosa complicatissima e che, ovviamente doveva tendere alla perfezione, non era come farlo per il proprio walkman o per un amico, in cui mettevi semplicemente le ultime novità che ti erano giunte all'orecchio. Per perfezione intendevo: mettere dei pezzi che le sarebbero piaciuti ma che non conosceva, ricercati ma in un certo qual senso orecchiabili, romantici ma non mielosi, nella prima compilation, quantomeno, cuore non faceva mai rima con amore. O almeno per me era così. E poi. E poi la scena che già mi raffiguravo era lei nella sua camera con la custodia vuota in mano e il nastro nello stereo con la musica alta (to be played at maximum volume) che piano, pezzo dopo pezzo, lato B dopo lato A, iniziava a struggersi di passione per me.
Per ciò avevo 60 fottutisimi minuti. Ma avevo anche all?incirca 600 cd.
I dubbi erano moltissimi, ad esempio, su come avrei dovuto fare la copertina, anche se di solito, ritagliavo da uno dei Focus che trovavo nel portagiornali del bagno grande qualche immagine assurda, che attaccavo con la colla stick sui bordi esterni della carta delle cassette dove normalmente si sarebbero scritti i titoli delle canzoni, il nome dell'artista e dell'album, invece nel lato interno scrivevo il nome della canzone, il nome dell'artista e come titolo qualche frase in inglese come "During the shiny electrical funeral" oppure "My sister My Bitch My master and servant",che dava un tono vagamente poetico e decadente, il più delle volte era questa l?atmosfera che volevo dare alle mie compilation. Quindi una volta superati i dubbi riguardanti il titolo ed il packaging, anche se allora ignoravo quasi del tutto il termine, iniziavano i dubbi riguardanti la scaletta, e qui, però c'erano delle certezze assolute ci sarebbero state sicuramente ?No love lost? dei Joy Division e "Song to the Siren" nella versione dei This Mortal Coil (chissà magari se avessi già conosciuto la versione di Tim Buckley avrei scopato prima e di più.) Ma il primo pezzo, quale cazzo sarebbe stato il primo merdosissimo pezzo, quasi mi scioglievo per terra dal dubbio.Potevo arrivare a divellermi tutte le unghie o a cercare di mangiarmi la testa dall'interno. Poi si accendeva sempre una lampadina ma questa lampadina aveva le sembianze di una candela,una candela leggermente sfocata ed il tono brumoso della parete che le faceva da sfondo andava ad impiastricciarsi sulla stessa. Sempre. Sempre il primo pezzo proveniva da quel cd con quella candela accesa in copertina. Traccia numero 1, 6 minuti e 58 secondi primi, un minuto e 22 secondi di intro, un intro sbilenco e claudicante. Poi. Poi l'esplosione, sudore e suono blu, e con l'esplosione tutti quanti iniziavano a parlare della tempesta. "Teenage Riot" dei Sonic Youth. Riponevo sempre in lei le mie presentazioni; per me era semplicemente un biglietto da visita, un CV e mi auguravo un passe partout. Dopo qualche anno capisco perché per conquistarla (dovrei dire conquistarle ma in mente ho solo un volto) scelsi e avrei scelto per ogni compilation quella canzone come prima. "Teenage Riot" per me era un modo di essere, un monito, non ero e non avrei accettato di restar quieto o di avere un rapporto normale, volevo l'amore, le ferite, le scopate, volevo tutto e subito, volevo la rivolta. Sapevo che grazie a questa canzone, avrei avuto qualche chance in più, la mia rivolta voleva essere fatta di carne, sudore, rumore e sangue pesto (Stirner e le A cerchiate al limite ne erano solo una cornice iconografica). La mia rivolta era lei. Volevo che ciò si percepisse da subito. Grazie a "Teenage Riot" sapevo che lei avrebbe capito e che le sarebbe piaciuto. Ma è tutto il disco "Daydream Nation" a ricordarmi quei due tre anni, quando il liceo stava finendo e cercavo in qualsiasi modo di distinguermi.
Il disco con la candela per me come una bandana color rossa per una gang di Los Angeles. Dopo l'incipit "Teenage Riot" che tutti avrebbero capito, iniziavano i pezzi che componevano per me come un diario ideale "Silver Rocket", "The Sprawl" con la voce crisoelefantina di Kim Gordon, Kim Gordon rivestita di alluminio. Quel basso melodico martellante, il ritmo che assomiglia tanto ad un robot in fase di corto circuito.
"Daydream Nation" è il primo vero incontro del rumore (ricordiamoci che i Sonic Youth sono figli della No-Wave e di Glenn Branca) con la melodia così come io in quel periodo avevo il vero primo incontro tra l'amore spirituale e l'amore fisico. "Total Trash", "Hey Joni" e "Kissability" sono lì a dimostrarlo. E poi la fine, dovete immaginare che in quel periodo iniziai anche a drogarmi pesantemente dagli acidi alle pasticche fino ad arrivare agli psicofarmaci e non so quante volte tornato a casa totalmente stravolto mi mettevo con le cuffie e il volume al massimo volume ad ascoltare i 14 minuti di "Trilogy" che per me erano il miele, l'ambrosia che qualcuno versava direttamente nelle mie orecchie anche perchè poi la mattina dopo qualcuno sarebbe venuto a parlarmi della tempesta.
Ma ora Pause. Pause. Devo mettere il secondo pezzo.
Carico i commenti... con calma