Inciso nel 1956, "Saxophone Colossus" vede all'opera il sax tenore Sonny Rollins accompagnato da Max Roach alla batteria, Tommy Flanagan al piano e Doug Watkins al basso. Etichetta Prestige.

6 brani gioiello che sfuggono alla routine, dove la ricerca della struttura da vita a strade melodiche facili da memorizzare. La batteria di Roach è persino ballabile mentre si intreccia alla melodia di "St. Thomas". Lettura magistrale per il brano "You Don't Know What Love Is", standard col sapore di ballad. Punto di massimo splendore nell'originale "Strode Rode". Prodigioso il brano di chiusura "Blue7", esempio di come un musicista creativo può giocare con la struttura del blues, in una logica di assoli rigorosamente personali. Il pezzo è infatti motivo di studio per i teorici del jazz.

E' molto probabile che se Sonny Rollins fosse scomparso alla stessa età di Coltrane (e nelle stesse circostanze), oggi sarebbe ricordato, come minimo, con la stessa devozione di quest'ultimo. Se Coltrane era un sassofonista spensierato e pieno di senso dell'umorismo, i cui assoli si spingevano a volte un po' troppo oltre, come nell'ansia di superarsi, Sonny era controllato ed i suoi assoli facili da seguire, dall'inizio alla fine.

Se lo stile di Coltrane era assolutemente innovativo, ed in voga, quello di Rollins era rivolto al tentativo di recuperare l'hard bop di Coleman Hawkins. A rompere gli equilibri, la prematura morte di Coltrane, che fece inclinare la bilancia sentimentale a suo favore e privò il jazz di una feconda battaglia stilistica.

All'improvvison Rollins perse il suo amico (da ricordare il duetto storico di "Tenor Madness") e antagonista più serio e con lui la stimolante necessità di creare nuovi estetismi. Ne seguì un successivo disorientamento stilistico.

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