The Sky in a Pool is not The Sky

Please Look Higher...

Si tratta (ne sono consapevole) di uno sfogo. Oltre che di una premessa interminabile (e ne sono certo assai poco condivisibile). Avevo letto e sentito che talvolta i "miti" sarebbe meglio tenerli circoscritti nell'ambito di competenza, cioè quello del mito, appunto: il rischio di rimanere delusi esiste.

Delusione parziale, ma che ha aperto un varco nella visione di un personaggio, (non toccherò ovviamente le indiscutibili doti artistiche) che nel mio immaginario era, a fianco di John Lennon, Lou Reed, Nick Cave, etc uno dei più "elevati" in assoluto. Talmente mitizzato da immaginare qualcuno che non c'è.

Tale era stata la folgorazione, per un'opera come "Scenes From The Second Storey", che nel 1992 mi cambiò letteralmente la vita (o se non altro il modo di guardare a certe forme espressive), unita alla tristezza nell'apprendere che dopo la scomparsa di Jimmy Fernandez quella splendida rock-band non sarebbe mai più esistita, se non in quell'album quasi senza scritte su una copertina bianca ("One Last Laugh In A Place Of Dying..."). Ricordo alla perfezione l'identica emozione quando sulla copertina di un noto magazine italiano tra i vari titoli spiccava "Addio, God Machine".

Non sono mai riuscito a trovare parole adatte né termini di paragone adeguati per descrivere quei dischi (soprattutto il primo), anche perché come un fulmine a ciel sereno fu seguito da un black-out della ragione. Pensai "faranno qualcos'altro, superato il dolore troveranno il modo di riprendere con un altro componente". Speranza vana: Robin Proper-Sheppard aveva deciso, e (ipotesi assolutamente personale) non avrebbe comunque inteso proseguire nemmeno in tal caso con quell'esperienza. Siamo nel 1998: vengo a sapere che esiste un nuovo gruppo, i Sophia, acquisto "The Infinite Circle"... "chissà come saranno i nuovi God Machine!" penso; la speranza di ritrovare quell'univeso sonico era fortissima; e fu eguale al senso di spiazzante sorpresa (e delusione) nel sentire l'incipit di "Directionless". Sound elettro-acustico, ballads lente, la voce inconfondibile di quello che era stato il leader di quel "magnifico trio di San Diego", autore di una sorta di "neo metal concettuale per gli anni 90": praticamente all'epoca era IL Futuro.

Leggo ora nel booklet i nomi di almeno 12 musicisti, "The Sophia Collective": ce n'era abbastanza per trovare il tutto leggermente indigesto anche se ebbi l'intuzione che dentro quelle musiche, per quanto completamente cambiate, c'era qualcosa (pensai all'"anima") delle opere che mi avevano rapito anni prima. Quel drumming, prima indugiante poi più spedito, con rullati in controtempo e piatti a creare un effetto di "scorrimento" o di stasi drammatica, quelle melodie vagamente assomiglianti a certi momenti epici e tristi ("Bastards", "The River Song", "Within Without"), ma era assai poca cosa.

Mi dovetti ricredere quando (siamo nel 2005) ascolto solo allora "Fixed Water": la magia ricomincia, mi rendo conto che Proper-Sheppard è con ogni probabilità un genio creativo a 360°: i God Machine fecero covers di "Double Dare" e "America: What Time Is Love?", ora mi sembrava di sentire i Red House Painters nei loro momenti più ispirati, gli Oasis più intimistici e acustci ("Masterplan") alle prese con il repertorio di Nick Drake, o dei Coldplay infinitamente più risoluti (e credibili) riuscire a interpretare una canzone come la "Yesterday degli anni 2000" ("So Slow"), il tutto in forma di Canzone d'Autore ("Death Of A Salesman").

Con i dubbi che nella critica aveva poi suscitato "People Are Like Seasons" ("non confondetevi se per caso avvertirete delle maggiori affinità che sembrano ricordare il sound dei God Machine" riporta una descrizione sul sito ufficiale sophiamusicnet.com: casuale?), e recosonti di live-show leggendari in cui i Sophia (nel frattempo approdati alla City Slang) si presentavano in formazione acustica, con violoncelli, basso, batteria, pedal steel guitar, chitarra acustica... (come nel concerto al tramonto a Urbino: headliners Echo & The Bunnymen, black out dell'impianto elettrico durante l'esecuzione di "Bastards", Robin che chiede silenzio e continua senza amplificazione né microfono...).

Roma, ultima tappa di un tour in cui come recitano i manifesti "Sophia will present to Italian Audience the new band Vito", descritti come dei "Sigur Ros" alle prese con le sinfonie di "Ennio Morricone". In programma "dopo una prima parte - dedicata all'esibizione dei Vito (nuovi alla label di Proper-Sheppard: la Flower Shop Records Ltd.) - i Sophia - in versione acustica interpreteranno parte del loro repertorio, quindi nella terza parte "backsided" dai Vito rileggeranno in chiave più elettrica il materiale più recente". Promette bene... il locale (il Qube, discoteca sulla Via Prenestina) non sembra esattamente consono, (in programma una serata Gothic Rock, ed è sabato sera), non mi aspetto folle oceaniche, (infatti saranno 40-50 spettatori), il costo del biglietto è praticamente simbolico, orario di inizio: 22:30. Quando, dall'ingresso transennato vedo uscire un gruppo di persone e guardo meglio identifico Robin Proper-Sheppard, l'emozione è indescrivibile: un senso di perdita dell'equilibrio, Dal 1992 al 2006... tanto tempo è passato e non avrei mai pensato di... (i TGM avevano fatto un solo concerto in Italia, al Carpe Diem Festival nel settembre 1993).

Tuttavia (come previsto) l'orario ufficiale resta sui manifesti: alle 11:30 passate si può finalmente entrare, e ben oltre tale orario inizia la performance dei Vito. L'impressione che si diffonde tra il pubblico è quella che i due riferimenti siano piuttosto "fantasiosi" (il gruppo suona una specie di post-rock molto melodico che si avvicina vagamente ai Mogwaii), l'esibizione è "arricchita" da proiezioni di immagini su schermo, il sound è potente soprattutto nelle parti di basso e batteria, il cantato flebile appena percettibile, mi colpisce su tutte "Across The Rubicon" (davvero molto suggestiva), ma è mezzanotte passata, lo show sembra non terminare più, il gioco di immagini è davvero (mi spiace) mediocre, dopo l'ultima interminabile suite torna (per me finalmente) la luce.

Scende Proper-Sheppard, completamente bianco vestito, da solo (e i Sophia?) gesti eleganti, savoir-faire istrionico, calice di vino nella mano destra e foglio con penna per annotare i brani che poco dopo chiederà al pubblico di scegliere: fioccano i titoli "Ship In The Sand!!!", "So Sloooow!" "I Left Youuu" (la più richiesta) (per un attimo sono tentato di chiedere "Purity": ma temo reazioni poco piacevoli...) Robin annota, completa la set-list concordata con il pubblico, brindisi ideale, posa fogli e calice, e imbraccia la chitarra acustica. L'inizio è con "The Sea", dopo la prima strofa si ferma, "oh no-no-no", riattacca, esattamente come prima, applausi, quindi (a sorpresa) arriva subito il momento più emozionante dell'intera serata, (anche perché terminerà in modo imprevisto): "So Slow" è davvero splendida, una tensione fortissima pervade in modo palpabile l'intera platea, l'andamento è rallentato, il pubblico è in silenzio (quasi) assoluto. La successiva "If Only" manda l'audience in visibilio: anche se sommessamente si sente che viene cantata (i fans, me compreso, queste canzoni le conoscono a memoria), quindi una delle più sconosciute di "Infinite Circle": "Sometimes" (la più sperimentale su disco) ; è la volta di "I Left You" (ho letto le reviews dei vari concerti: sembra non saperla/volerla eseguire mai, non è chiaro il motivo: vuoi vedere che anche stavolta?) e infatti dopo l'avvertimento "in tutte le altre tappe non ci sono riuscito, non so come f***ing fare, non so perché f***ing succeda, ci provo": inizio, "oh I Left You, but it's always like..." stop, "ci riprovo, f* qua f* là..." stesso risultato, "questo è l'ultimo tentativo se ci riesco ok, altrimenti nothing to do...." Come previsto, anche in questo concerto "I Left You" non verrà eseguita. Si passa a "Bastards", molto (e giustamente) applaudita; quindi "The Death Of A Salesman", "Are You Happy Now?" (ormai il pubblico le canta senza più indugi), "Oh My Love", bellissima in versione acustica: singolo apripista di "People Are Like Seasons", è stata paragonata ad una "love-song alla Deus", quindi "Holidays Are Nice" e chiusura con "Swept Back" (molto più adatta all'esecuzione acustica che agli effetti electro-naive alla "Airportman" su disco).

Pausa: dovrebbe cominciare la terza parte, quella Vito-Proper-Sheppard, ma dai piani bassi si sentono le vibrazioni della serata disco tradizionale; Robin commenta innervosito "è stata una buona idea fare prima la parte acustica", salgono i Vito sul palco, cambia l'assetto, ma stavolta qualcosa non funziona davvero: il basso di Daniel ... ha problemi al pick-up, cenni sconfortati a Robin, il quale aveva annunciato "Desert Song No 2" (verrà appena accennata), poco dopo altro commento "let's play some gothic rock..." quindi, ripristinata la srumentazione, il gruppo attacca una versione estremamente potente e rabbiosa di "The River Song". Mi rendo conto che sarà l'ultima canzone (come ormai di abitudine i concerti dei Sophia terminano con questo brano) cenni di headbanging dalle prime file, gran finale con giro di basso-batteria reiterato-ossessivo, nonché furibondo frontman che abbandona il palco mandando (più o meno apertamente) a quel paese gli organizzatori, il set-up, la disco-gotica... (nel blog dei Vito si leggerà "the doors suddenly opened for the Goth-disco scheduled after the show and Sophia will end priorly")

Per chi lo conosce Robin è un perfezionista assoluto, il che appunto obbliga ad alcune riflessioni critiche:

1. se l'articolazione dello spettacolo è così complessa (in tre parti: il post-rock dei Vito, il rock acustico d'autore di Robin Proper Sheppard solo, il nuovo corso delle future musiche dei Sophia) e le canzoni quindi piuttosto numerose, ci vorrebbe maggiore puntualità, se il pubblico si aspetta l'inizio della performance alle 22:30 non si comincia con quasi un h e ½ di ritardo (e non è una scusante il costo basso del biglietto)

2. consapevoli del ritardo, sarebbe stato assai "di buon senso" abbreviare il concerto dei Vito (durato praticamente quasi un'ora), in fondo il pubblico era lì per i "Sophia" (in realtà anche il poster traeva in inganno),

3. per quanto una band come i Sophia meriterebbe arene come il Palaeur, purtroppo la DNA concerti ha fatto quel che ha potuto: il Qube è una discoteca, con i suoi orari e i suoi avventori diversificati, e non è colpa di uno show-biz che appiattisce le migliori menti creative se tali orari devono essere rispettati.

Quindi, un concerto sicuramente intenso ed emozionante, ma riuscito a metà: nella mia mente da un po' va facendosi strada l'ipotesi che Robin Poper-Sheppard voglia esprimere il suo talento (di cui dimostra assoluta consapevolezza) ben oltre i Sophia, i quali potrebbero (teoricamente) anche essere un progetto interlocutorio: le maestose architetture neo-metal prima, le rock-ballad acustiche con aperture sperimentali adesso, fanno da un lato pensare (legittimamente) che la City Slang (e il pubblico) stia chiedendo a R.P.S. un sound "più alla God Machine" (o al limite "più aggiornato", impronunciabile la parola "commerciale"?), dall'altro al performer Proper-Sheppard va riconosciuta una straordinaria dote istrionica, e anche (purtroppo) una (eccessivamente?) alta concezione di sé, che a tratti rasenta la megalomania. Se è il "prezzo" del talento, va (quasi) bene, spero che i Sophia (o i post-Sophia) abbiano in futuro il successo che meritano, per ora non giova all'immagine del loro leader un'atteggiamento borioso e indisponente verso un pubblico adorante e in assoluto, rispettoso silenzio.

In conclusione, una maggiore umiltà non costerebbe nulla, una minore retorica vittimistica nemmeno, e infine, un minore snobismo potrebbe addirittura essere d'aiuto in merito a quanto si diceva sopra. Di Joseph Mascis (Dinosaur Jr) e Brett Anderson (Suede) ce ne sono già, appunto, due. Che il nome del gruppo gli ispiri maggiore "vittimistica". Chissà...

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