Voglio tanto bene a Debaser, ma per quanto riguarda una cosa Debaser ha peggiorato la qualità della mia vita, ossia il fatto di non possedere più la capacità di maturare un giudizio sereno sulle varie opere che mi appresto via via a recensire, soprattutto quelle che non proiettano nella mia testa, in maniera nitida e distinguibile, il numero esatto di pallette che ne decretino il valore.
E' il caso, per esempio, di questo “Have You Seen This Ghost?” uscito agli albori del 2011 in tiratura super limitata (in seguito supportato da una distribuzione più ampia ed alla portata delle tasche di tutti), ultimo atto (mmmm, non ne sono sicuro, mi sa che in questi giorni ne è uscito un altro) dell'incontenibile entità artistica Sopor Aeternus & The Ensemble of Shadows. Quante pallette in effetti si merita 'sto benedetto dischetto? Quattro o tre? Buon disco o solo sufficiente? E' chiaro e pacifico che il giudizio che si dà di un'opera è sempre soggettivo, in particolar modo per musica non di facile fruizione come quella di cui stiamo parlando. Però non mi sento nemmeno l'ultimo sorciaccio entrato nella cripta di Anna/Varney Cantodea: è da anni che ne seguo le mosse, e fino ad un certo punto ne ho letteralmente idolatrato il percorso. Poi però qualcosa si è incrinato ed oggi quasi mi sento di dire: “Anna/Varney Cantodea” m'ha rotto il cazzo!
“Have You Seen this Ghost?” è settantaquattro soporiferi minuti dei soliti piagnistei ed atmosfere grottesche: niente di nuovo, quindi, ma allora sono invecchiato io o piuttosto è invecchiato l'artista?
Indago, cerco spunti geniali, a tratti li trovo, ma nel complesso non sono per niente convinto, eppure “Have You Seen this Ghost?” è un prodotto non solo unico ed inimitabile, ma anche confezionato con la consueta professionalità, ispirato da buone liriche e da un concept di fondo intrigante. Cos'è che non va allora? Non va il fatto che, pur perdonando all'artista la sua poetica eccessivamente macabra, il suo indugiare fino alla sfinimento su tematiche scabrose, e l'auto-referenzialità della sua arte (in “Have You Seen this Ghost?” non troviamo niente – ma proprio niente – che sia estraneo all'universo Sopor Aeternus, tanto che pescando un minuto a caso dall'intero platter riconosceremo istantaneamente l'inconfondibile trademark dell'artista – e non è cosa da molti, anzi, e cosa quasi per nessuno!), non va il fatto, si diceva, che è veramente difficile arrivare al termine dell'opera, e quando si arriva alla fine dell'ascolto, non si ha francamente molta voglia di rimettere il disco sul piatto per riascoltarlo.
Troppo severo? Ma no!, ho adorato lavori come i due capitoli di “Dead Lovers' Sarabande”, sono trasecolato innanzi a quel terribile mattone che era stato “Songs from the Inverted Womb” (che certo a lunghezza e pesantezza non scherzava) e ho pure apprezzato la svolta electro-goth del rivoluzionario “Le Chambre D'Eco”. Ma poi, si diceva, qualcosa si è rotto, e gli ultimi lavori sembrano aver preso una piega a mio parere non buona, una piega che inizialmente ho perdonato, accecato soprattutto dallo “splendore” delle opere sopra menzionate, ma oramai, c'è da ammettere, son troppe volte che Anna/Varney Cantodea ci propina la solita manfrina. E non basta il fatto che anche “Have You Seen This Ghost?” sia un lavoro complesso e maniacalmente curato in ogni suo aspetto, musicale e grafico. Il problema rimane invece che Anna/Varney Cantodea sembra essersi stilisticamente fermato/a, aggrappato/a ad un canovaccio fin troppo prevedibile, una musica da camera fin troppo pregna di stucchevoli barocchismi che alla lunga vengono davvero a noia, tanto che nemmeno gli arditi "sperticamenti" vocali del nostro mitico transgender austriaco riescono a destarci.
“Have You Seen This Ghost?” è la seconda parte della “trilogia dei fantasmi” e segue di poco l'EP “A Strange Thing to Say”, lasciando pressoché immutate le coordinate stilistiche dell'ultimo full-lenght “Les Fleurs du Mal”, che da parte sua aveva consolidato il nuovo corso del progetto portando con sé delle aperture vagamente “pop”, ed una maggiore distensione a livello lirico.
La trilogia dei fantasmi, pur conservando in sé quell'humour nero e un po' kitsch fondamentalmente imperniato sui temi del sesso (punto di non ritorno per l'affannato percorso esistenziale di Anna/Varney), blocca sul nascere ogni tentativo di innovazione che potevamo aspettarci, anzi opera un contenimento a quelle spinte verso la pop-wave degli anni ottanta viste nel recente passato, recuperando terreno invece sul versante gotico ed orrorifico (ma senza bissare la profondità degli abissi sondati nelle opere della maturità). Insomma, le solite campane, i soliti tromboni, il solito clavicembalo, un corpus sonoro che fa volentieri a meno dell'elettronica, ridotta quasi all'osso (ma non del tutto accantonata, dato che permane un misurato impiego di sintetizzatori). No, nessun passo avanti in questo senso, il Sopore Eterno continua a marciare al passo di un dark da camera, unico nel suo genere, ma fin troppo prolisso e manieristico per chi è già abituato a cibarsi di queste sonorità. E non è un caso che l'unico reale sussulto il sottoscritto l'abbia avuto con l'incipit dell'ottava traccia “Powder”, in cui il grugnito decrepito di Anna/Varney si sposa tragicamente (in senso buono) con un inquietante tappeto di synth e beat elettronici. Per il resto, siamo al cospetto dell'ennesimo monumento di angoscia ricreato ad hoc in studio per mezzo di un ricco assortimento di strumenti acustici, archi e fiati in primis, senza rinunciare al dinamismo delle percussioni che oramai costituiscono un ingrediente irrinunciabile del nuovo corso di Sopor Aeternus (ma alla lunga non è detto che sia un bene, dato che, se da un lato il tutto ci guadagna in orecchiabilità, dall'altro viene persa parte di quell'atmosfera mortifera che da sempre caratterizza il progetto): insomma, il solito sontuoso palcoscenico per i voli sgraziati dell'incredibile ugola di Anna/Varney, che, dai bassi sepolcrali alle stridule tonalità alte, passando per improvvisi sussulti ed un incredibile gamma di voci, imbastisce il suo consueta tragedia umana (la sua).
Tutto molto originale, quindi; anzi tutto molto unico, perchè nessuno può avere quella voce e nessuno può narrare quelle nevrosi, e nessuno può concepire questa musica e nessuno può avere la perseveranza e la determinazione e la motivazione per confezionare un prodotto del genere; ma sinceramente parlando, quando si discute di un nome del calibro di Sopor Aeternus, non è lecito accontentarsi della semplice reiterazione di uno schema, seppur ormai collaudato e rodato alla perfezione.
Eppure “Have You Seen This Ghost?” non è immobilismo allo stato puro, almeno dalle liriche evinciamo un passo avanti nel percorso esistenziale dell'artista, che approda ad un nuovo stadio di auto-coscienza. Essendo il suo percorso bloccato fin dagli esordi per l'incapacità di accettare il proprio corpo, la propria sessualità, e quindi di avere una relazione adeguata con il mondo circostante, fisiologicamente l'artista approda oggi, con scoppio ritardato, alle fantasie che potremmo collocare nella fase più tipicamente adolescenziale, fase animata da insicurezze, sogni, speranze e – ahimé – amori non corrisposti, seghe fisiche e mentali, e quasi Anna/Varney ci fa tenerezza a parlare di masturbazione (tutto riassunto alla perfezione nel paradigmatico brano d'apertura “One Day My Prince will Come”). Con un pizzico di gusto fantasy e con la consueta attrazione per temi macabri, Anna/Varney sviluppa così il concept (una storia d'amore dal prevedibile “saddy ending”) come se fosse una ghost-novel, la cui comprensione è agevolata dai raffinati disegni in stile fumetto che ripercorrono fedelmente il contenuto dei brani. Brani che annettono nella propria cerchia ben tre cover: “Sleep “ di Marianne Faithfull (musiche di Angelo Badalamenti), “Hello” di Lionel Ritchie ('azz) e “Holding Out for a Hero” di Jim Steinman, versioni che conservano poco o nulla dei pezzi originali, tanto che si confondono pacificamente con gli altri dieci pezzi, spesso anche molto lunghi e sostanzialmente privi di struttura (se scissi dalla inevitabile controparte lirica). “Have You Seen this Ghost?” vive così di uno strano paradosso (non nuovo all'artista, ma qui esasperato): tutto è talmente estremo ed alienante che alla fine si genera nell'ascoltatore un senso di totale assuefazione all'agonia ed alla tristezza che quasi lo rende immune ed impassibile innanzi al ribaltarsi emotivo ed alle energie messe in campo. In pratica: i brani sono indistinguibili (se non dopo svariati ed accurati ascolti) e di veri guizzi non ne troviamo a svegliarci dal torpore.
Tirando le somme: “Have You Seen This Ghost?” non ha niente che possa veramente deludere i fan più accaniti del progetto, e a dirla tutta, non è nemmeno un brutto album, sicuramente non inferiore, quanto a professionalità ed impegno, agli album che l'hanno immediatamente preceduto. E' quindi un disco da tre o quattro pallette? Sta a voi deciderlo, a seconda di quanta voglia e tempo avrete per addentrarvi, a questo giro, nel conturbante mondo di Sopor Aeternus.
Sicuramente un ascolto non facile. A me, per esempio, annoia a Morte, ma magari, in altri momenti....(maledetto Debaser!)
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