Accanto ai tanti gruppi e artisti degni di nota che videro la luce a Minneapolis, città del midwest degli USA, partendo da Prince per arrivare, in ambito maggiormente rock (e dintorni) agli immensi Replacements, agli Husker Du e ai Jayhawks, nel 1981 in un garage della stessa città nacquero i ‘Loud Fast Rules', band formata dal singer Dave Pirner, dal guitarist Dan Murphy e da Karl Mueller(R.I.P.) al basso, che adottarono da lì a poco il marchio Soul Asylum, con cui si fecero conoscere al mondo nel corso della decade successiva.
Nonostante l'ancora acerbo debutto di ‘Say What You Will' (1984) e la grande maturazione raggiunta solo due anni dopo con la pubblicazione di ‘Made to be Broken', ‘While You Were out' (oltre alla raccolta di outtakes, uscita solo in cassetta, a nome ‘Time's Incinerator'), i Soul Asylum faticarono oltremodo ad emergere dal contesto di band underground, nonostante l'innegabile qualità della loro proposta musicale, oscurati dalla fama raggiunta dai concittadini Husker Du e Replacements, oltre alla scarsa promozione da parte della loro casa discografica di quegli anni (la locale Twin/Tone Records), che oltretutto penalizzava notevolmente il gruppo anche a livello di produzione e di impatto sonoro dei brani.
La prima importante svolta per la band giunse fortunatamente nel 1988, grazie alla firma con la prima major discografia, l'A&M, sotto il cui marchio venne pubblicato durante lo stesso anno questo ‘Hang Time', quarta release del gruppo.
Sulla falsariga di quanto proposto nei due album precedenti, tocca già all'opener ‘Down on up to Me' graffiare fin da subito con i suoi riff in pieno stile hard rock con intermezzi bluesly, debitrici dei grandi maestri dei Seventies, come nella successiva e ancora più convincente e trascinante ‘Little Too Clean'; mentre in ‘Sometime to Return' e ‘Standing in the Doorway' siamo di fronte a due pezzi rock dal forte impatto emotivo, che concedono anche qualcosa al pop nei ritornelli trionfali e orecchiabili. Nonostante la qualità e la carica dei brani iniziali, già solo i primi accordi di 'Cartoon' soprendono ancora una volta per la solarità e la carica di energia che riescono a sprigionare, in un inno dalla bellezza disarmante, cantato coralmente dalla band; con un testo però dalle tinte oscure e pessimistiche, dedicato ai giovani della loro generazione, priva di ideali e sconfitta dalla società; senz'altro merita di stare a fianco di canzoni come ‘Can't Go Back' (composta anch'essa da Dan Murphy), ‘Never Really Been' e ‘Runaway Train' (firmate da Dave Pirner), tra i brani più significativi e memorabili lasciatici in eredità dal gruppo.
Giunti a metà disco spezzano il ritmo i dolci accordi di ‘Endless Farewell', ballad eterea, evocativa e dall'incedere disperato, che riesce nell'intento di far calare la notte anche solo per un effimero istante, cullata dalla voce sommessa di Pirner, sospesa tra sogno e realtà, e capace di sprigionare note gonfie di malinconia e tristezza, subito spazzata via però dalla vivacità di ‘Beggars and Choosers' e dalla freschezza rock easy-listening di ‘Marionette'; ma la band torna subito a fare sul serio con il breve e aggressivo intermezzo southern di ‘Ode' (fortemente debitrice di band quali Molly Hatchet, Blackfoot e ZZ Top), l'hard scatenato di ‘Heavy Rotation', e l'elettrizzante ‘Jack of all Trades', di nuovo all'insegna dell'hard rock venato di blues degli inizi, che stupisce ancora per accelerazioni fulminee, cambi di tempo e refrain azzeccatissimi. Arrivati ormai alla fine spetta a due divertenti filastrocche folk come ‘Twiddly Dee' e ‘Put the Bone in' mettere la parola fine a questo meraviglioso album, mentre la voglia di rimetterlo a girare da capo inzia già a prendere il sopravvento.
Gli oltre 40 minuti di ‘Hang Time' rivelano tutta la creatività e la maturità raggiunta dei Soul Asylum, e può essere considerato come l'album della consacrazione, in cui giungono a compimento le intuizioni di ‘Made To Be Broken', unite all'attitudine più garage-rock presente in ‘While You Were Out', nonostante la produzione ancora approssimativa, a discapito dell'avvenuto passaggio su major, continui a penalizzare la resa sonora dei brani.
Con questo album avrà anche fine la prima parte della carriera della band, infatti già dal successivo ‘And the Horse They Rode in on' (1990), verranno quasi definitivamente accantonate tutti le influenze hardcore e garage della band, per virare verso un sound più classic rock, con maggiori concessioni al pop e a brani dal sapore più acustico ma, nonostante si trattasse di un album di transizione, contenne ugualmente al suo interno alcuni pezzi degni di stare a fianco delle loro opere più belle (ad esempio ‘Spinnin', ‘Veil of Tears', ‘Easy Street', ‘We 3' e ‘All the King's Friend').
Nel 1992 fu invece la volta di ‘Grave Dancers Union', full lenght in cui il gruppo raccolse finalmente il successo che avrebbe meritato anche prima, per quanto prodotto negli anni precedenti, grazie alla presenza di un brano importante anche storicamente come ‘Runaway Train' che, accompagnato da un videoclip colmo di dolore e di denuncia sociale, consegnò il gruppo alla fama mondiale; questo nonostante a livello di sound rimanesse ben poco della band degli esordi, abbracciando sonorità tendenti più al folk e al roots-rock, mantenendo comunque una qualità elevata a livello di songwriting e di lyrics.
La vera svolta commerciale, solo accennata in Grave Dancers Union', arrivò invece tre anni dopo, con ‘Let Your Dim Light Shine', album maggiormente costruito che snaturò il sound della band in alcuni episodi (come nelle Bonjoviane ‘Hopes Up', ‘Shut Down', ‘Crawl', ‘Nothing to Write Home About'), ma proponendo, accanto a pezzi troppo alla ricerca della nuova hit alla ‘Runaway Train' (‘Misery'), anche alcune ballate delicate e ben riuscite che non sfiguravano davanti a quelle contenute in 'Grave Dancers Union' (‘String of Pearls', ‘Eyes of a Child', ‘I Did My Best'). Dopo il relativo fallimento dell'album i Soul Asylum andarono incontro all'inevitabile declino, tra il progetto parallelo ‘Golden Smog', a cui non prese parte Pirner, e la pubblicazione di un nuovo album che passò totalmente inosservato (il soporifero ‘Candy from a Stranger, 1998) a cui seguì l'abbandono da parte della casa discografica di allora, la Columbia.
La band, pur senza mai annunciare il proprio scioglimento, andò incontro a 8 anni di silenzio, interrotti nel 2005 dalla triste notizia della morte del bassista storico Karl Mueller, e dalla realizzazione di un nuovo album di inediti, ‘The Silver Lining' (2006), il cui ascolto non riesce però a non far rievocare un pizzico di nostalgia verso i tempi che furono, per quella che è stata una band che, sia nella versione elettrica degli Eighties che in quella più intimistica di 'Grave Dancers Union', nonostante abbia raccolto molto meno di quanto meritato ha recitato un ruolo importante nella scena rock americana e non solo, segnando una generazione con canzoni che restano ancora oggi e rimarranno indimenticabili, trovando per sempre un posto speciale nell''anima' e nel cuore di tutte le persone che li hanno amati.
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