Il 4 luglio è il Giorno dell'Indipendenza americano; una festazza nazionale, celebrata in tutti i modi che si possano immaginare: fiere, giostre, barbecue sfrigolanti, partite di baseball, bambini vocianti, luci, parate e fuochi d'artificio. Tutto molto bello, certo. Ma provate ad assistere a uno spettacolo pirotecnico sotto LSD: sarà un'esperienza assolutamente terrificante. È quanto i Soundgarden cercano di rendere, riuscendo magnificamente, in "4th of July", una sorta di inno da catastrofe post-nucleare da far rimbalzare di caverna in caverna.
Partiamo col dire che quella in esame è la canzone più oscura che i nostri abbiano mai vergato: scordatevi la Dark Seattle, scordatevi "I Awake", "No Wrong No Right", siamo proprio su un altro livello. Colate di catrame quasi sludge che si ripetono cupe, terribili, inesorabili, con l'urletto della chitarra dopo venti secondi che prefigura inquietante ciò che ci aspetta al varco. Shower in the dark day, clean sparks driving down... i versetti di Cornell ispirati a Sylvia Plath schizzano gli effetti che un giorno di festa può avere su un trip allucinogeno, trasformando un'occasione di giubilo in un incubo degno della fine del mondo. Il tutto ispirato a un'esperienza che Chris ha realmente avuto: "Una volta ero sotto acido, e c'erano voci tre metri dietro la mia testa. Tutto il tempo che camminavo, loro parlavano dietro di me. [...] Era un po'come un sogno, anche se ogni tanto mi svegliavo, guardavo, mi concentravo e capivo che non c'era nessuno. Dicevo: "Oh cazzo, sento delle voci". Sostanzialmente, "4th of July" parla di quel giorno".
Thought I was the only one, but that was just a lie...
Dopo il prologo iniziale, la straordinaria voce di Cornell si sdoppia, secondo due linee a un'ottava di distanza, per infondere alla canzone un effetto ancora più straniante e spaventoso. Fuoco, luci che guizzano, gente bruciata, battezzati che annegano: più che la festa nazionale, sembra arrivato il giorno del giudizio.
Down in the hole, Jesus tries to crack a smile, beneath another shovel load...
E il riff che parte dopo il secondo chorus. Quel maledetto riff. Uno dei più crudi, sguaiati e feroci nella storia del Rock tutto. Una rasoiata crudele, una lingua di follia, una patina di ghiaccio limacciosa che si appiccica al nostro povero corpo inerme. Un Thayil da brividi. La voce di Cornell torna a unirsi per un attimo, prima di sdoppiarsi nuovamente per l'incredibile finale. Light a roman candle and hold it in your hand... l'incredibile, sconquassante finale di una caduta senza ritorno nel tetro baratro del panico e della paranoia.
Cause I heard it in the wind, and I saw it in the sky and I thought it was the end, I thought it was the 4th of July
L'implosione di ogni cosa...
1, 2, 3, 4
Non posso parlare di "4th of July" senza accennare alla sua prosecuzione, "Half": unica canzone dei Soundgarden, credo, dove il compianto Chris non compare a nessun titolo; da quattro si passa a tre. Vogliamo sperimentare, mettiamoci anche questa. Un sound di ascendenza chiaramente orientale si fonde con la prodigiosa sezione ritmica del fenomeno Matt Cameron, che qui torna a fare i salti mortali. Non siamo ai livelli di "Head Down", ma è sempre un sentire meraviglioso. Half a chance, half a chance... il bassista Ben Shepherd declama pochi versi criptici e sconfortati con una voce che potrebbe davvero essere quella dell'elfo di copertina, prima di andare a naufragare in un lago incantevole di ricami psichedelici.
We still have half a chance. Non so perché, ma questa frase mi dà i brividi, non più di paura però. Mi sembra poesia allo stato puro, qualcosa che parte dal Grunge e finisce col trascenderlo... come tutto questo disco leggendario.
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