1996. 2021. È passato giusto qualche anno da quella data, il tempo necessario per capire quanto di quel momento storico va ancora capito e compreso, quanto di esso ancora influenza il nostro mondo, cose su cui i "millennials" vanno eruditi: i capelli da pescatore (i Bucket Hat), i pantaloni a zampa, l’hip-hop, la street wave. Sicuramente potremmo trovare anche altri e diversi punti di contatto oltre alle mode, come la crisi generale socio-culturale che si viveva all’epoca, anche se il nostro caso specifico devo dire che ha delle unicità storiche invidiabili. Tuttavia attenendoci alla musica il 1996 non è un anno semplice, come lo sono stati tutti gli anni 90. In effetti i 90 si portavano appresso un compito arduo, e cioè il confronto con i padri anni 80 e i nonni degli anni 70 che, con modalità diverse, avevano reso la musica rock gloriosa, ridipinta in tutte le sue sfaccettature più cupe ed intriganti, ed anche con tinte più splendenti e irriverenti, riuscendo a dare una linfa mai vista allo spirito di trasgressione giovanile. Beh gli anni 90 ci hanno provato fortemente a far fare un salto qualitativo differente rispetto alle distorsioni, ma non erano di certo i tempi delle novità, era invece il tempo di prendere consapevolezza di quanto sarebbe stato fiato sprecato rimetterle in discussione in mezzo a una realtà storico culturale che andava mutando velocemente e che seguiva un vettore difficile da invertire. Come tutti i fenomeni artistici e culturali, anche la musica si presta ad essere uno specchio quanto mai veritiero della nostra società, ce la spiega molto più chiaramente di quanto possa fare un trafiletto di giornale, riesce a coglierne il senso anche semplicemente con i suoni scelti, la progressione giusta, l’ attitutude; ed è tutto lì, in quello spartito dalle note amare, che ritroviamo parte del senso dei nostri giorni, riuscendo un po' a bloccare il tempo e a farci immergere nella verità che lega i fenomeni della realtà.

Ma cosa caratterizza gli anni 90? Hanno dei tratti distintivi oppure è semplicemente un riassestamento del passato? Certamente sono gli anni delle camicie a quadri ma anche dei choker e dei mini top glitterati, di Dawson's Creek, degli Eiffel 65 e di “Festivalbar”, così come della Apple, delle grandi rivoluzioni tecnologiche, delle nuove politiche europeiste e dei primi protocolli ambientalisti; è un periodo sperimentale di quello che sarebbe stato il mondo come lo conosciamo oggi, in tutto il suo silicone. Per cui la musica è specchio di tutto ciò, e la città di Seattle, Washington, è il lago che riflette il "sottosopra" di questa realtà viziata e in formale avanzamento. In effetti molto si riprendeva dagli anni 70, il rock è quello distorto di Woodstock, dopotutto apportare troppa novità sarebbe stato in controtendenza rispetto al senso del grunge: nichilismo, depressione, apatia, svalutazione, ricerca di un "nirvana " interiore, una regressione temporale e irrealistica verso un sè primitivo, un bambino senza colpe se non quella di non essere stato in grado di ribellarsi ai dettami di genitori troppo impegnati a stare dietro alla lavatrice sociale. I Soundgarden, nati nel 1984 sono state una delle massime espressioni musicali di questo movimento e di tutti i significati che si porta dietro: una ribellione urlata ma fondamentalmente muta dei giovani che difronte a loro vedevano solo l'ineluttabilità del progresso, del mondo che ormai aveva preso una direzione ben definita e non ci sarebbe stata rivoluzione a poterlo cambiare, perchè in effetti le rivoluzioni erano già state tutte fatte. Per cui la formula “ritornello+rumore+ritornello” è la nuova forma-canzone dei brani rock del periodo in chiave trasandata, sgangherata, decadente, aggettivi che per facilità sono stati riuniti in un unico nome: grunge. Non ci dilungheremo su quanto detto, parliamo piuttosto dell’album in questione: Down the Upside, 16 tracce di pure alternative rock anche detto grunge. Le chitarre ruggenti, considerevoli, esplicite, sono l’elemento musicale principale che lega tutto l’album e caratterizza fortemente il sound della band che già aveva provocato parecchie ustioni di primo grado con Ultramega ok e Superunknown. Qui gli elementi decisivi sono due: la vocalità di Cornell e la forte tendenza heavy metal che prende la band. Ho sempre ascoltato questo album non dall’inizio alla fine, perché sarebbe stata troppo dura farlo, perché sapevo sarebbe stata una mazzata che mi sarei portata dietro per giorni e settimane, mi ci sarei infognata, e infatti adesso che l’ho fatto per avere un quadro completo dell’album da recensire sto accusando il colpo. È stato un viaggio all’indietro lungo una traiettoria non ben definita che nell’incertezza dell’obiettivo finale, per sicurezza, va ripercorsa all’indietro, prendendo in considerazione l’ipotesi di suonare un hard rock già sentito ma vestirlo con una bella camicia a quadri sgualcita. La cosa più splendida dell’album è a mio parere la voce di Cornell, folgorante e graffiante, corredata da quel suo atteggiamento sfrontato che ha fatto invidia ai volti più spocchiosi del rock, nonostante la sua cupezza riesca a snodarsi anche leggiadra e profonda tra i brani, aprendosi in Switch Opens, serrandosi in Burden in my Hand, in No Attention; insieme a lui splendide le forme del rock prese a prestito dal miscredente Jimmy Page e le pagane forme utilizzate per dare grinta a suoni folk desolati, una lunga camminata nel deserto in cerca di acqua, di una fonte presso cui sostare per avere un po’ di ristoro. Psichedelici sono i vissuti di Overfloater (grandissimo il riferimento alla ledzeppeliniana In my Time of Dying), pink floydiane le scelte delle sonorità, voluttuose e dispersive le armonizzazioni vocali che smorzano l’aria e la rendono rarefatta. Tutto sembra niente, le cose non sono quelle che vediamo, c’è il velo dell’apatia che le distorce e ci stordisce, il velo della stanchezza del cammino estenuante verso una città perduta nella mappa dell’inconscio, nell’identità di quegli anni.

Alla fine del lungo viaggio nel sottosopra della società anni 90 di Seattle di cui l'album è voce, non so se ho trovato ristoro, io come molti altri rockettari nostalgici, ma sicuramente ho la cattiveria giusta per arrivare, se non alla fine (perchè non ci arrivo) almeno in fondo al deserto, per capirlo e vederlo con i miei occhi disturbati dalla polvere (Dusty), e vederlo in tutta quell’intensità che fa invidia a tutti coloro che nel 2021 millantano di fare rock.

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