I Soundgarden si sono ritrovati di nuovo insieme dopo molto (troppo) tempo; di Kim Tahyl e Ben Sheperd si eran perse le tracce, Chris Cornell si era dato tristemente al pop, l'unico che continuava a darci dentro era Matt Cameron, dietro le pelli dei Pearl Jam.

Non mi aspettavo certamente, con queste premesse, un album capolavoro, ma semplicemente un lavoro di transizione, un tornare ad abituarsi a fare musica assieme, e quindi, in definitiva, un onesto e robusto album di hard rock, declinato sotto le forme tipiche dei Soundgarden. Devo onestamente dire, dopo ripetuti ascolti, che l'obiettivo è fondamentalmente fallito; a parte pochi episodi è un album che anzichè "prendere" ascolto dopo ascolto, "molla", annoia, in certi episodi irrita.

La prima e macroscopica pecca direi che sta assolutamente nel sound: dove è finita la chitarra di Kim? Sentire un album dei Soundgarden in cui la chitarra è così in sottofondo, in cui prevale un suono cupo, ridondante e in definitiva impastante del basso è stata la prima amara sorpresa; il risultato è un sound che annaspa melmoso nelle sabbie mobili, non ha brillantezza, non morde. Il buon lavoro alla batteria di Matt (l'unico che secondo me è veramente in forma in questo album) è completamente vanificato da una registrazione che se voluta è quantomeno assurda.I primi pezzi scorrono via senza infamia e senza lode: "Been Away Too Long" non è neanche malaccio: pur non brillando per originalità avrebbe un bell'impatto se non fosse che manca completamente la spinta della chitarra, e per un ritornello abbastanza anonimo.Lo stesso schema si ripete, enfatizzato, su "Non State Actor", che avrebbe tiro se solo ci fosse una chitarra degna di questo nome, e che poi crolla miseramente su un ritornello di una banalità disarmante. Anche la voce di Cornell, che vorrebbe essere rabbiosa, abbaia molto ma morde poco.

Ahimè, la discesa è verticale con "By Crooked Steps", che si contraddistingue per un anonimato disarmante. A questo punto, fortunatamente, arrivano le note più positive, con un trittico di canzoni decisamente ben riuscite: "A Thousand Day Before", acida ed orientaleggiante, "Blood On The Valley Floor", la mia preferita dell'album, col suo incedere lento ed epico ed una linea vocale che finalmente mi richiama i cari vecchi Soundgarden, e "Bones Of Birds" che sembra uscita di pacco dalle registrazioni di "Euphoria Morning" (e non è assolutamente poco!). Solito rammarico per i suoni usati: con una produzione ben più brillante questi pezzi avrebbero avuto ben altro risultato.

Ahimè, da questo punto l'album comincia a ridiscendere la china, e lo fa con una serie di canzoni che più che brani dei Soundgarden sembrano degli scarti di album solisti di Cornell usati per riempire il tempo: "Taree", anonima e senza sapore, "Attribution", dove i Soundgarden sembrano un vecchietto che quando mostra i muscoli rivela la carne flaccida e quando digrigna i denti sputa la dentiera (i coretti sotto il ritornello sono uno dei punti più bassi mai toccati dalla band di Seattle), una "Black Saturday" di cui  mi scoredo praticamente alla fine di ogni ascolto.
Arrivati a questo punto comincio a guardare nervosamente l'orologio e a chiedermi quanto manca alla fine dell'album, che scorre via onestamente sempre più come (scarso) album solista di Cornell anzichè come prodotto dei Soundgarden; il tempo di segnalare una "Worse Dreams" che mi ricorda stranamente e con insistenza il riff di "Caravan" dei Rush, ed una finale "Rowing" senza nè capo nè coda.Alla fine, a parte un intermezzo di canzoni che mi aveva fatto ben sperare mi rimane non tanto l'impressione di un album brutto, quanto quella di uno assolutamente, pietosamente noioso.

E dire questo di un album dei Soundgarden è cosa triste assai.

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