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Gli Spain furono un autentico gruppo “cult” negli anni 90, in virtù sopratutto di questo album, loro debutto del 1996.
Josh Haden , bassista e cantante nonché figlio del mito Charlie Haden, forgiò un album da brivido, notturno e intimista come pochi. La splendida copertina è del resto eloquente: “The blue moods of Spain” è un disco sull’amore e sui suoi tormenti, su notti insonni passate ad aspettare un passo di una “Belle Dame Sans Merci”, a ricordare momenti di un relazione infelicemente conclusa o ripensare ai propri errori.
La band assecondava gli irrequieti umori del leader, con un sound estremamente scheletrico, teso a evidenziare la poeticità del messaggio, a metà strada tra certo jazz easy listening e atmosfere reminiscenti il Lou Reed di “Songs for Drella”. Ne sono illuminanti esempi momenti la maestosa suite “World of blue” – impreziosita dal violino di Petra Haden – o la suadente “Ray of light”. Ambientazioni malate, con la musica in sottofondo che squarcia il fumo di un locale, alla ricerca di una impossibile risposta.
Altrove, alcune morbide ballate in zona “terzo album dei Velvet underground” come “Ten nights”, “Dreaming of love” e “Her used-to-been” ammaliano con dolcezza ed estro, enfatizzando i tenui intrecci chitarristici e la voce di Haden: certamente non particolarmente rimarchevole tecnicamente, ma autentica e pregna di vivido lirismo.
Apice del disco è però certamente la conclusiva “Spiritual”, il pezzo che diede una certa notorietà a Haden e soci (Johnny Cash e persino i Red Hot Chili Peppers la reinterpretarono). Una ballata a dir poco imponente, struggente come certe cose dei migliori Tindersticks e un Haden ispirato che declama “Jesus I don’ t want to die alone/ My love was untrue/Now All I have is you”.
In definitiva “The blue moods of Spain” è opera il cui recupero è vivamente consigliato. Niente di innovativo o di rivoluzionario: una alternativa “classica” ai dischi dei Portishead o di Mark Lanegan per certe serate struggenti, persi tra alcool, fumo e chimere.
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