Lo spirito e l'attitudine più autentica del country sono ben conservati nei sotterranei della musica americana. Per trovarli bisogna frugare fra l'ossessione byrdsiana dei Long Ryders, le convulsioni punk dei Meat Puppets, le bizzarrie dei Giant Sand, i sussurri dei Cowboy Junkies e le impennate rock dei Green On Red e Dream Syndicate, passando attraverso le nevrosi dolenti dei Violent Femmes e Neil Young.
Sono qui i semi della fioritura dell'alternative country anni '90 che ha caratterizzato gli ultimi anni della musica americana, e gli Sparklehorse sono tra le band più grandi della scena, e questo disco del 1995 dal titolo interminabile ne è l'esordio e il capolavoro alla pari di "It's A Wonderful Life" del 2001.

Dimenticate gli stivali con gli speroni, ma anche no, dimenticate i capelli da cowboy, ma anche no, dimenticate il deserto e l'Arizona strip, ma anche no, dimenticate le rosate Vermillion Cliffs dei vecchi e sbiaditi films perché nei nineties hanno riacquistato colore grazie alla commistione dei generi, perché su "Vivadixie...", parola mia, si suona musica selvaggia, nuova e cruda. Mark Linkous, voce e chitarra: "Vedo le canzoni come dei piccoli pianeti, non devono essere in asse, se orbitano diventano noiose".

Il lo-fi come religione, il folk rock come dose di litio da prendere quotidianamente, si spiegano così certi pezzi sofferti nostalgico-psichedelici come Homecoming Queen o Cow o Weird Sisters. Il culmine di questa parte nostalgico-anemica è Spirit Ditch: strimpellio spettrale e voce fragile, l'andatura sorniona ma che si stampa subito in testa. Ciò che lascia stupefatti sono gli arrangiamenti stravaganti che infiorettano il classico roots-folk donando nuova linfa vitale al genere.
Anche la parte energica dell'album subisce lo stesso trattamento stralunato (i Pavement non erano gli unici ad arrangiare così in quel periodo), certi loro picchi energetici (Tears On Fresh Fruit) ti prendono proprio a zompare per la loro commovente sgangheratezza (a tratti somigliano perfino ai The Fall che provengono da tutt'altro background), e nonostante questa sporcizia assuefatrice riescono ad suonare "diritti" (se capite cosa intendo ascoltate il chitarrismo di Tom Verlaine) al contrario di tanti gruppi della scena che usavano gli accordi per creare il pavementiano modus operandi "spreca ritornelli e riffs che fa molto alternativo" di contorno.
L'incalzante e lo sghembo si compenetrano in modo spartano, sempre venato da una qualità erratica, nel quale si aprono improvvise parentesi fatte di stranezze armoniche. Intravedo qualcosa di "neil-younghiano" nel loro roots speziato di folk e di alternativo (frammenti e suoni disturbati, pop sbilenco, qualche eco acid); e nel loro modo di usare il rock a fini emotivi (ascoltate Someday I Will Treat You Good).

E' uno dei capolavori degli anni '90 perché tenuto conto della classica forma canzone americana (rock principalmente) con influenze del "suono delle radici", quindi country essenzialmente di tipo elettrico, ma (ecco la variazione scintillante e geniale) si possono trovare sfuriate country-punk, approcci post rock, e anche gospel.
Insomma un roots rock completamente reinventato; anche se in fondo Linkous secondo il mio modo di vedere questa musica rimane fondamentalmente un cow-punk , non tanto distante dai Giant Sand di Gelb.

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