Qualche frasetta di senso compiuto su questo disco? Eh, più facile a dirsi che a farsi, ma vediamo se ci riesco: beh, cominciamo col dire che "Indiscreet" è senza ombra di dubbio un vertice nella produzione degli Sparks; vertice di cosa però? Ognuno scelga a piacimento in base alle proprie attitudini e predisposizioni, ma il fatto che sia un vertice, o una LEGGENDA se preferite, non è minimamente in discussione. Amatelo, schifatelo, fate come preferite, "Indiscreet" è fatto apposta per provocare reazioni forti. La struttura rock di "Kimono My House", già parzialmente smantellata con "Propaganda", qui viene colpita in pieno da una wrecking ball ricoperta di brillantini luccicanti; ne rimangono i calcinacci, sparsi qua e là nei giardini della Versailles dei tempi d'oro. Uno degli album più kitsch e gaglioffi di sempre, ad un livello estremo anche per la media di Ron e Russell. Ognuno tragga le proprie conclusioni, io lo trovo assolutamente irresistibile, se mai dovessi capitare nella proverbiale isola deserta un posticino nel beauty-case glielo troverei sicuramente, potrebbe tornare utile nei modi più disparati.
In fondo rimangono pur sempre gli Sparks dei due dischi precedenti, goliardici, satirici, canzonettari infallibili, stavolta però si affidano ad un arsenale di orchestrazioni, clavicembali, jingles e coretti, un pomp-pop iperconcentrato e "neoclassico" sparato in faccia all'ascoltatore. I fratelli Mael vi danno un caloroso benvenuto con "Hospitality On Parade", poi una mazzata dietro l'altra, "Get In The Swing", "Under The Table With Her" (teribbile), "Pineapple", "It Ain't 1918" (ancora più teribbile), "Looks Looks Looks" (bonus track ma non meno teribbile delle precedenti, ah, a proposito, teribbile è da intendersi come terrific, non terrible). Le reazioni provocate da questo vulgar display of power, perchè pur sempre di power di tratta, possono essere le più disparate, da "ma che cos'è sta merda" a urletti estasiati non meglio definibili, passando per un classicissimo "dafuq am I listening" che probabilmente andrà per la maggiore. Di fatto "Indiscreet" è come un vassoio pieno di frutti di marzapane, belli colorati, turgidi, pesanti e zuccherosi; se piace questo tipo di approccio e magari, come nel caso del sottoscritto, si ha un senso della misura molto, ma molto generoso, la sensazione di acquolina in bocca è già di per sè qualcosa di favoloso.
E poi ci sono quei momenti in cui Ron e Russell ripropongono quel glammettone-rockettino che aveva fatto la loro fortuna, abbiamo un anthem da arena coi controfiocchi, "Happy Hunting Ground", e soprattutto un geniale pastrocchio isterico proto-punk come "In The Future", poi "The Lady Is Lingering" e "How Are You Getting Home" classicissimi anthems sparksiani, e va benissimo così. Con "T'ts" si arriva, trincando come se non ci fosse un domani, a una sintesi dialettica tra le varie anime dell'album, e la melodrammatica bonus track "Miss The Start, Miss The End" conclude sontuosamente lo show. E non solo, con "Indiscreet" si chiudono anche gli anni più fulgidi della storia degli Sparks; un album che ha lasciato molti scontenti tra i loro fans dell'epoca e, nonostante lo adori, non faccio fatica a concepirlo; rispetto ai suoi tempi questo disco era... era? Com'era? Avanti, indietro, sopra, sotto il tavolo, sinceramente non ne ho la più pallida idea. Quindi, il mio 5 prendetelo per quello che è, ci troviamo di fronte a un qualcosa di quasi ai limiti del circense, e come tale va goduto. Tra l'altro non si può dire che non abbia lasciato un segno, in robe così oppure cosà si percepisce chiaramente l'influsso malefico di "Indiscreet", motivo in più per adorarlo.
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