Il nuovo glam-rock dei fratelli Mael
ovvero questa città non è abbastanza grande per tutti questi suoni
Prima di leggere la seguente recensione, invito i gentili lettori ad aprire il loro fidato WinMx e scaricarsi [i responsabili del sito si dissociano] "This Town Ain't Big Enough For The Both Of Us".
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fatto?
Bene, ora non c'è più bisogno di scrivere una recensione per incitarvi ad ascoltare "Kimono My House"... ma mi ci accingerò comunque per chi non si è ancora convinto e per ascoltare ancora una volta il cd.
Siamo in Inghilterra, corre il 1974, Bowie stava decretando la fine di Ziggy, i Roxy Music stavano ponendo fine ai loro anni migliori con "Country Life", Lou Reed sorprendeva il mondo con i concerti da "Rock'n'Roll Animal" e nel mondo della musica si affacciavano questi due fratelli chiamati Sparks con il capolavoro indiscusso "Kimono My House".
Il cantante assomiglia un po' a Marc Bolan un po' ai Cugini Di Campagna, solo con la voce più alta di una decina di ottave, il tastierista invece sembra un incrocio tra lo stereotipo del mafioso siciliano e Hitler, e insieme riescono a coinvolgere l'ascoltatore in una furia rock dalla potenza e dall'originalità paranormale.
Padrona assoluta della scena è la voce di Russel Mael, che dimostra un controllo e una potenza oltre ogni immaginazione nei suoi falsetti e nei passaggi sonori più ardui. La chitarra, di ispirazione hard-rock e, ovviamente, glam-rock, è il secondo elemento di questo gruppo a colpirci: gli assoli e le distorsioni possono anche essere convenzionali ma riescono sempre a stupirci grazie all'orchestrazione del tastierista Ron Mael, che reinventa tutto il sound della band con cambi di tempo e svariati colpi di genio (a momenti può ricordare Frank Zappa).
"Kimono My House" è un viaggio allucinante in dieci canzoni frenetiche che spaziano da episodi più ballabili ("Complaints") a profumi cabarettistici ("Talent Is An Asset"), da riff martellanti e orecchiabilissimi ("Amateur Hour") a brani più tranquilli ("Thank God It's Not Christmas"), quasi vicini al valzer ("Falling In Love With Myself Again"). A volte sembra che il gruppo crei i propri percorsi con autocompiacenza ("Equator"), ma grazie all'estrema autoironia non risulta mai irritante o fastidioso, anzi ci attira sempre di più nelle trame dei suoi magnifici scherzi.
Grazie a questi dieci deliranti, gioiosi e disimpegnati inni alla vita gli Sparks riscrivono la storia del glam, genere allora già avviato alla decadenza, rinnovandolo e ispirando, secondo me, i Queen e parte della musica anni '80.
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