Siamo appena tornati a casa dal concerto, sono le 00:22 e nonostante il fastidioso fischio nelle orecchie e gli occhi pesanti non ho resistito alla tentazione di commentare quasi in tempo reale questo splendido concerto al Knaack di Berlino. Dopo la recente e totale delusione dei Trail of Dead ce n’era proprio bisogno ! Meritevole innanzitutto la performance della band di supporto, gli islandesi Silt, che pur essendo in 3 sfoderano un piacevolissimo indierock, una specie di Pavement in versione noise minimalista e qualche accenno di punk-rock scandinavo. Massimo due accordi di chitarre, batteria e basso che stupiscono con controtempi e cambi di ritmo, pause e silenzi, ripartenze progressive con gli stessi accordi di prima spesso lievemente distorti e più veloci: Complessivamente i brani sono armoniosi e melodici. La voce è ben integrata nel particolare sound, naturale e non appesantita da qualsivoglia effetto. In un certo senso i Silt sono quasi folcloristici, dato che la diversità delle canzoni sembrano rispecchiare le stupende e variopinte bellezze naturali che offre l’Islanda, dai ghiacciai silenziosi ai vulcani esplosivi, dal mare insidioso alle steppe desolate, dal vapori caldi ai venti polari. Giovani interessanti, scelta azzeccata come spalla degli Sparta, con un promettente futuro nelle loro mani. L’acquisto a fine concerto del loro EP “In Line” era già scontato dopo i primi 2 brani. Spazio agli Sparta ora, che davvero se lo sono strameritato ! Wow, che ondata di rock e schitarrate energiche coinvolgenti. Quando vai ad un concerto di un band di cui conosci appena 3 canzoni (il contenuto dell’EP “Austere”) e te ne ritorni a casa con un sorrisone in faccia, la playlist del concerto, un plettro suonato dal leader e cadutogli in un momento di follia musicale e due ascelle strapezzate, puoi essere certo di aver vissuto e goduto intensamente per qualche ora la vita e con ciò riesci ad apprezzare il momento e dimenticare per un attimo gli eventi tristi e sconsolanti che, specie ora, ci stanno attorno. Mi sono lasciato condizionare e trascinare volentieri dal mero rock degli Sparta, nati appena qualche mese fa dalle ceneri degli At The Drive In e distintisi con la stessa ricetta avvincente di quest’ultimi. Più melodici, certo, la mancanza al microfono della voce di Omar Rodriguez ha indelebilmente tolto il marchio degli At The Drive In, ma ragazzi il sound ereditato e sfoderato questa sera dagli Sparta è a dire poco il meglio che il rock americano ha proposto negli ultimi anni. 5 ragazzi (1 aggiunto per il tour) che con successo e molto coraggio hanno deciso di portare avanti un vecchio progetto, più che consolidato, senza esclusioni di colpi (di chitarra); è il loro sound, la conosciuta traccia strumentale che ha reso grandi ed originali gli At The Drive In e che non scompare (per fortuna) negli Sparta. E per come hanno rimischiato il tutto con 11 brani non mi dispiace o irrita affatto, anzi !!! “Sans Cosm” e “Cut Your Ribbon” sono i primi due pezzi, non contenuti nell’EP, ma carichi di energia, che subito sembrano soddisfare anche i più scettici tra i ca. 150 presenti in sala. Seguono le splendide “Vacant Skies” e “Cataract”, già inserite in “Austere”, e osservo di non essere l’unico a conoscere e soprattutto apprezzare l’EP sopra citato. L’aria si fa sottile, il caldo diventa quasi insopportabile, i fotografi danno sempre più fastidio, strappando spazi e respiri preziosi, ma non importa credo a nessuno, almeno la davanti con me sotto al palco. Non ricordo esattamente se fosse stata “Collapse” oppure la successiva “Red Alibi”, so solo che una delle due ha un giro di chitarre e batteria fantastico, una distorsione corposa che si alterna ad attimi più tranquilli: nello stesso pezzo il piede ha schiacciato almeno una dozzina di volte sul pedale della distorsione. Tecnicamente perfetti, mai una steccata, assolutamente strepitosi. “Glasshouse Tarot” e “Assemble”, ambedue ancora una volta anteprime, sono di quel genere che ti piglia al primo ascolto. Ci avviciniamo alla fine, uno sguardo sulla playlist appiccicata vicino alle pedaliere mi fa capire che restano pochi brani. Eccola, “Mye”, la mia preferita di “Austere”, la voce aggressiva è quella del cd, è quasi quella di Rodriguez, un regalo per i nostalgici ! Bellissimo il basso, suonato da un pseudomessicano con ai piedi delle All Stars bianche alla Celentano. Con “Air” si chiude il concerto, niente bis (con quali brani poi ?!?), ma un pubblico grato e sorpreso positivamente e una band prodigiosa e generosa, che in pochissimo tempo ha fatto del passato il suo bagaglio più importante e prezioso per il futuro. Per onori di cronaca: loro sono in 5, 3 chitarre (Les Paul, Fernandez e SG con testate Park e Mesa Boogie Rectified e casse Marshall più un Fender Twin Reverb´65), 1 basso (Fender Precision su testata SWR e cassa Ampeg), e la batteria (Tama, 1 rullante, 2 tom, 1 grancassa e un paio di piatti). La costituzione del cantante/leader/chitarrista lo fa sembrare quasi Lupin, magrolino con jeans stretti e atteggiamenti schizzofrenici un pò da droghino. Gli altri 4 sono più modesti, simpatici e ben nutriti. djd
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