Los Angeles, da qualche parte nel futuro. Le luci dominano una città d'acciaio, i riflessi dei grattacieli rimbalzano sull'orizzonte, la digitalizzazione è ormai ovunque, ogni superficie richiama quella di un pc. Ci si veste come nei '70, si scrivono lettere per lavoro, si "gioca" con videogame che interagiscono direttamente con l'uomo, ci si innamora di un sistema operativo. Theodore si innamora di un sistema operativo e come lui tanti altri in questa società indefinibile. Più semplice vivere nella virtualità che nella realtà...
Regista poliedrico venuto su dai videoclip, Spike Jonze ha saputo piazzare il suo nome nella cinematografia americana degli ultimi anni. "Her", il suo ultimo lungometraggio, può essere considerato come il film della definitiva maturità artistica e stilistica. Al suo interno troviamo una moltitudine di microrealtà che si concatenano per dar vita ad un'opera toccante, ma anche poetica e per certi aspetti "rivoluzionaria". Quel sistema operativo, "l'OS1", con cui Theodore stabilisce un vero e proprio rapporto, è lo specchio della nostra società, quella in cui i vari schermi si sono ormai frapposti tra le persone. Costruirsi una vita online è oggi fondamentale. Poco importa se tutto questo a volte porta allo scollamento dalla vita di tutti i giorni. Si "vive" comunque anche perdendo vita sociale. D'altronde tutto ciò che si fa ai nostri tempi è pensato per inscriversi in questa modernità d'immagine e spot. Anche "innamorarsi è una pazzia, è come se fosse una forma di follia socialmente accettabile". E allora è meglio rifugiare nel virtuale le sofferenze della vita reale (ricordate quel Zuckerberg di "The Social Network"?), perchè alla fine il buon Theodore Twombly ha sempre e solo amato Catherine, la sua ex moglie.
"Her" è un'opera intima che sa coniugare con maestria lato sentimentale e sociale e che scava molto più a fondo di una "semplice" storia d'amore. Theodore è l'incarnazione del nuovo alienato della nostra società, non è più l'operaio di marxiana memoria. Oggi è soprattutto alienato chi non sa rapportarsi al mondo che gli sta intorno, chi ha dubbi e paure.
Jonze crea un film di "fantascienza alta" che non è poi tanto lontana dalla realtà, che emoziona e fa pensare. Lo fa avvalendosi della straordinaria fotografia curata dall'olandese Hoyte Van Hoytema (già notevole in "La talpa" di Tomas Alfredson) e indugiando con primi piani e inquadrature fisse, per lasciare spazio solo sporadicamente a riprese dall'alto della splendida Los Angeles. Da segnalare anche un superbo Joaquin Phoenix, di nuovo sopra le righe dopo intepretazioni notevoli in film come "The Master" e "Inherent Vice" (solo per rimanere agli ultimissimi anni). Un attore che ha trovato una maturità espressiva fuori dal comune, quì anche lontano dai personaggi borderline che più gli si addicono.
Un lungometraggio che sa farsi amare anche oltre un soggeto di base non sempre credibile fino in fondo. Una love story dei tempi moderni. Un film da scoprire e assaporare, perchè ogni inquadratura è lì dove dovrebbe essere.
P.S.
Non sono un integralista del film in lingua originale, ma in questo caso consiglio vivamente la visione dell'originale per due motivi: il primo è la voce suadente e caldissima di Scarlett Johansson e il secondo è la scelta scellerata di affidare il doppiaggio dell'OS1 alla Ramazzotti. Inascoltabile.
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