Non so per quale folle impulso autolesionistico ma, fino a qualche anno fa, avevo davvero una scarsa considerazione di Spike Lee. Il mio era un irragionevole (in quanto tale) preconcetto, una squallida convinzione che avevo maturato chissà perchè, senza peraltro aver prestato particolare attenzione ai suoi lavori. Poi mi capitò quasi per caso di vedere ''La 25ma ora'', probabilmente il miglior film degli ultimi 10 anni (e qualcosina in più) e da allora, come per espiare il mio peccato originale, mi sono ripromesso di vedere tutto lo scibile di Spike, compreso il filmino amatoriale della fastidiosa dissenteria amebica del '79. Anche per questo quando uscì nel 2006 ''Inside Man'' mi fiondai al cinema a scatola chiusa con un pizzico di angoscia misto rigetto dopo la precedente mezza-boiata di ''Lei mi odia'', considerando pure il fatto che lui i polizieschi, cristo, non li aveva mai fatti e che a me, i polizieschi, fanno discretamente defecare. Risultato: un moderno paradigma sul quale confrontarsi per ciò che concerne le storie-rapina-in-banca-con-ostaggi-chissà-come-va-a-finire-che-ne-so.
Dalton Russel (Clive Owen) ordisce, insieme ad altri tre malviventi, un ambizioso quanto dettagliato piano per una rapina in banca. Ma non una banca qualsiasi, il caposaldo finanziario di Wall Steet: la Manhattan Trust. Il suo fine, oltre all'ovvio tornaconto economico, è però qualcosa di più nobile di quanto si possa pensare. Dall'altra parte della barricata il detective Keith Frazier (il geniale Denzel Washington) e il suo collega Mitchell (Chiwetel Ejiofor), pronti a negoziare con ogni mezzo per salvare gli ostaggi e sventare il colpo. Tuttavia, come dinanzi ad un fondoschiena di una cinquantenne celato in un paio di jeans stretti elasticizzati, ''niente è come sembra''.
Il cineasta americano, coadiuvato da Russel Gewirtz (sceneggiatura e soggetto) e irraggiato dal conturbante fascino di ''Quel pomeriggio di un giorno da cani'' di Lumet (citato espressamente nella pellicola) riesce in un'iniziativa ai limiti dell'impossibile: girare un thriller poliziesco americano con meno di 5 minuti di sparatorie ed inseguimenti. Un'impresa titanica: un pò come vedere Bruno Vespa che fa informazione, diciamo. Addirittura Spike, in un impeto di sbrodolamento pari solo ai più grandi, pare così convinto dell'impenetrabilità della sua storia da permettersi soventi e spudorati flash-forward sottoforma di interrogatori che, di fatto, anticipano gli esiti della vicenda, sparpagliando, vieppiù, tutta una serie di indizi (persino il titolo) che, se colti, svelano il finale.
Così, quando la suspence si affievolisce per mano di chi l'ha creata, è il solito spirito provocatorio e riflessivo del regista che prende il sopravvento, che emerge incomprommissorio nei suoi personaggi. Come nella spassosa sequenza dove viene criticato un certo trend a stelle e strisce tutto gangsta e pallottole stile 50cent, mostrandoci il rapinatore che resta allibito difronte alla violenza del videogame cui stava giocando un giovanissimo ostaggio. Con sullo sfondo il caveau della banca aperto, Owen, in una delle scene più riuscite, prende per mano il bambino ammonendolo e riportandolo fuori dal genitore al quale ''dovrà dire qualche parolina riguardo il suo videogioco''.
Detto della presenza di Jodie Foster nei panni della ''Lavitola d'oltreoceano'', influentissima avvocato-tuttofare col telefono sempre all'orecchio, di Willem Dafoe (questa volta incredibilmente dalla parte dei buoni), di Christopher Plummer alias il direttore di banca e detto anche del consueto nonchè superbo utilizzo della macchina da presa (chissà che novità...) e dell'irrefrenabile passione di Spike per la Grande Mela, disomogenea e cinica nelle sue differenze etniche e culturali, ''Inside Man'' è stato per me un'intrigante sorpresa.
Riesce ad essere divertente e cupo, moralista e psicologico, patinato e indipendente. Ed alla fine ad averla vinta sono sì i più scaltri ma, tutto sommato, anche i più onesti...
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