Dischi del 2016: parte mancante.

Ci sono i Wavves che hanno iniziato facendo pop-punk lo-fi-issimo per poi passare ad un più adulto pop-punk e-basta: roba da ascoltare bevendo Dahlberg tiepida in bottiglie brutte presso rampe del discount dietro la spiaggia libera, dove vanno i regazzetti con lo skate. C'è Jeans Wilder, che fa un indie psichedelico a bassa fedeltà: roba da ascoltare fumando stesi all'ombra di una palma nei parchetti dove vanno i vu-cumprà a stendersi durante le ore più calde del giorno. Ci sono gli Spirit Club, che sono Nathan Williams dei Wavves, suo fratello, e Jeans Wilder dei Jeans Wilder. Un progetto che sorprendentemente funziona, e che non suona né come un pastrocchio di super-gruppo né come la copia povera dei gruppi originali. E grazie al cielo se su internet la cool-ness nell'ascoltare Nathan Williams non c'è più, scomparsa assieme all'uso della parola hip-ster. Il disco può passare inosservato senza che i miei poveri occhi arrossati debbano leggere frasi come "pretenzioso" e "derivativo" e "gli Spirit Club suonano come tre cazzari che crescendo si sono accorti di aver ascoltato troppi Beach Boys e decidono di mettere in atto le conoscenze acquisite". Cosa in effetti verissima.

C'è Slouch, è il secondo disco degli Spirit Club e mi è piaciuto molto. Ci sono i coretti u-uuu-uuuuu che ci piacciono tanto e le tastierine che fanno plin-plin. Ci sono le classicissime melodie wavvesiane (Fast Ice, That's My Curse) e la psichedelia dilatata jeans-wilderiana (Metal Dream, Room to Run). C'è l'alienazione che cresce man mano che si ascolta il disco, con le tastiere allucinanti di Broken Link e Lately I've Been Sleeping, con il cumularsi di coretti di Needful Things di una beach-boyosità quasi imbarazzante, con i falsetti onnipresenti di Your Eyes Tell Lies e That's My Curse che sanno tantissimo di sunshine-pop anni Sessanta coi fiori in copertina, con la chitarrina di Nearly as Good as You che sembra opera di un indie-rocker trapiantato nelle Hawaii degli anni Cinquanta. In chiusura, a tradimento, ci sono il piano-rock semi-triste di I'm in Heaven e addirittura il pezzo malinconicissimo You're So Mean.

C'è gente come Tame Impala e MGMT che assomiglia sempre di più a una promessa mancata e invece ci sono gli Spirit Club che riescono per ora a convincere e a non ammosciarsi. Ci sono io che mentre scrivo guardo i platani spuntare dalla nebbia di novembre e penso che sono passati già sei anni da quando sognavo di essere un giorno il re della spiaggia e che ormai è ora di tirare le somme. Nathan Williams c'è riuscito, almeno lui.

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