Gli Spirit sono forse la band più paradigmatica della scena californiana di fine anni'60, ancor di più di nomi maggiormente noti come Grateful Dead o Jefferson Airplane.
Vuoi per stile di vita (tutti i componenti vivevano come una ideale famiglia allargata sulle colline di Topanga), vuoi per la musica da loro prodotta, che rispecchiava tanto le urgenze psichedeliche tipiche del periodo quanto il lato melodico derivante da un approccio folk pop floreale.
Dalla loro ebbero un leader bravo quanto carismatico, quel Randy California la cui fama fu sempre offuscata dal suo amico e vate Jimi Hendrix. Amicizia ingombrante per chiunque, e che avrebbe potuto renderlo niente più che un emulo; Randy sviluppò al contrario un modo di suonare molto sobrio e privo di solipsismi, piegando la sua tecnica per metterla a servizio di un gruppo che non gli era da meno.
Caratteristica fondamentale dei quattro dischi incisi dai nostri sta proprio nella sobrietà degli arrangiamenti e delle atmosfere, pregne di una visione estatica della vita, nutrita tanto da sussidi chimici quanto da una sincera devozione al sogno hippie di poter cambiare il mondo. Randy potrebbe essere considerato un Arthur Lee positivo.
E forse "12 Dreams Of Dr. Sardonicus" potrebbe essere il loro "Forever Changes". Primo disco in cui la band decise di affidarsi ad un produttore esterno, Dave Briggs, "12 Dreams… " porta a compimento un percorso artistico e umano iniziato nel '67, contrassegnato da uno staccarsi sempre più netto dalla psichedelia un po' melensa degli esordi, attraverso un disco acclamato da molti come "The Family That Plays Together" corale nel titolo e nella musica, fino ad arrivare alla perfezione stilistica di questo.
A molti "12 Dreams… " può rimanere indigesto, strizza eccessivamente l'occhio alla melodia in più di un caso, ma nel complesso scorre sul sottile confine fra illuminata ispirazione artistica e manierismo pop un po' paraculo, senza cadere totalmente nell'uno o nell'altro. Un miracolo musicale degno di un equilibrista. Attraversato da uno spirito ambientalista ante litteram, il disco procede come un tutt'uno, le tracce spesso confluenti una nell'altra.
L’ iniziale "Prelude–Nothin' To Hide" centrifuga al suo interno i vari elementi che compongono l'alchimia sonora della band: intro folk, piano che cadenza il ritmo, taglienti svisate chitarristiche, coretti tipicamente 60's e accelerazione finale con tanto di archi e ottoni. Ineccepibile anche il prosieguo del disco, fra odi all'amore psichedelico ("Love Has Found A Way"), sax impertinenti puntellati da organi saltellanti ("Mr. Skin"), visioni eteree a base di moog ("Space Child") e gite allo zoo con lo zio fricchettone ("Animal Zoo"). Decisamente da un altro piano di esistenza proviene quella piccola cosa fragile che è "Nature's Way", ingenuo inno ambientalista dal potere mesmerizzante, semplice e limpido come l'acqua di un ruscello di montagna.
Non ci è dato conoscere il segreto di questa ispirazione cristallina, andato perso insieme a Randy fra i flutti dell’amico Oceano Pacifico. So long Randy, we miss you.
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