Esiste il neo-folk in Italia? No, però ci sono gli Spiritual Front.
O forse c'erano.
Sulla lunga distanza esce l'atteso seguito di quel tanto chiacchierato “Armageddon Gigolò” (del 2006) che portò alla ribalta la band capitolina, fino ad allora nota nei soli ambienti neo-folk. Il segreto del successo? “Aggiornare” gli stantii dettami del genere alla luce di una rinnovata verve cantautoriale che pescava a piene mani nelle ambientazioni notturne e fumose del “solito noto” (qualcuno ha detto Nick Cave?), il tutto contornato da suggestioni spaghetti-western, reminiscenze anni '50, spregiudicatezze bi-sex ed umori da bettola di periferia: un re-styling (riscontrato anche a livello di look ed iconografia) che sembravava calzare a pennello ai Nostri, che pur sempre rimangono ddei bburinoni de' Roma. Furbizia? Reale ispirazione? Fatto sta che la formula funzionava ed “Armageddon Gigolò” filava liscio che è una bellezza, e anche laddove volevi trovare il plagio, l'ingenuità, la soluzione banale venivi sempre spiazzato da un ritornello azzeccato, da un song-writing nel complesso sempre ispirato, quasi che pareva che la svolta fosse dettata da reali esigenze artistiche. E probabilmente così è stato: pur non brillando per eccessiva originalità, gli Spiritual Front sono stati una ventata di aria fresca all'interno della scena, tanto che negli ultimi anni è riscontrabile una loro effettiva influenza su molte formazioni che gravitano all'interno dei labili confini del neo- folk (gli amici Ordo Rosarius Equilibrio su tutti).
Molto bene, il successo è una bella cosa: vendite, interviste, concerti a bomba, attestati di stima un po' da tutte le parti ecc., ma poi doveva necessariamente arrivare il fatidico momento di dare alla luce un nuovo album.
Mi pareva che gli Spiritual Front stessero negli ultimi tempi tergiversando: meglio un concerto in più che rientrare in studio di registrazione... proviamo questo pezzo dal vivo per vedere che effetto fa, ma il pubblico continuava ad esultare per “Cruisin'”, “I Walk the (Dead) Line”,“Jesus Died in Las Vegas”, “Slave”, quelli che con il tempo stavano diventando i veri classici del loro repertorio. E i pezzi nuovi? Si, bellini, suonano più pop, ma vuoi mettere con “Jesus Died in Las Vegas”? Era maggio del 2009 e fra un pezzo e l'altro, Salvatori annunciava l'imminente uscita di “Rotten Roma Casinò”.
Poi non se ne seppe più niente. Non voglio stare a sentenziare, magari hanno avuto mille menate, ma un dubbio mi viene: il dubbio che questi qua, gente, non sapevano più che cazzo inventare. Non avevano idee forse, o forse l'ispirazione è andata a puttane. Chi lo sa, esistono one shot-band, no? Meglio non sparire per troppo tempo, altrimenti ci si dimentica di noi, e poi, sono o non sono Salvatori?
Esce così 'sto famigerato “Rotten Roma Casinò”, che già dal titolo cerca di bissare i fasti del predecessore. Secondo il sottoscritto: una mezza delusione. Sempre che un album degli Spiritual Front possa davvero deludere qualcuno.
Per carità, l'album non è male: ben suonato, ben arrangiato, ben confezionato, infarcito di tante belle cose, cori femminili, trombe, fisarmoniche, campanacci e chi più ne ha più ne metta. Ma scusate, le canzoni dove sono? Soprattutto: la voce di Salvatori dov'è finita? Me lo ricordavo bene il suo vocione da maledetto sbraitatore pervertito. Cosa gli è successo nel frattempo? S'è messo a fare il sensibile? Oggi la sua vocina, spesso effettata, è cristallina, pulita, una via di mezzo fra Morrisey e Bowie era Ziggy Stardust (paragoni illustri, certamente, ma Salvatori non è né l'uno né l'altro). Un raffinamento vocale che va di pari passo con l'ammorbidimento di una proposta musicale che induge sempre di più sull'arrangiamento piuttosto che sui contenuti. Il problema non è tanto il fatto che sull'intera opera aleggi un'infausta aura pop (poiché siamo ascoltatori smaliziati e non ci sorprendiamo più di niente), bensì il fatto che i pezzi non lasciano il segno, spesso sortendo come fiacche riproposizioni edulcorate di quanto proposto nel ben più ispirato prodecessore.
Chiariamo una cosa: la personalità della band si è straordinariamente conservata e tutto suona indubbiamente Spiritual Front al 1000%, a dimostrazione che i Nostri rappresentano pur sempre una solida realtà all'interno dell'odierno panorama dark europeo (da sottolineare un ulteriore allontanamento dagli stilemi del neo-folk, ed un accelerazione verso i lidi di un delicato dark-pop d'autore, pervaso, più che in passato, da echi vintage, leggasi country e anni cinquanta a go go). I brani conservano la loro sensualità, scorrono per carità (ci sono tante languide chitarre slide della serie “vorrei tanto essere Chris Isaak”), e se magari avete altro da fare (scrivere una recensione, per esempio), possono costituire un piacevole sottofondo; ma guai a conferire a questa musica un ruolo di primo piano, poiché vi annoierete, come annoia da sempre il prodotto di un mestierante che non ha più cartucce da sparare. Poiché le soluzioni rimangono le medesime, i testi sono il solito simpatico pasticcio di canzone d'amore, erotismo e verve dissacratoria, ma laddove c'era l'effetto sorpresa ed un bel po' d'ispirazione a trainare il carrozzone, la formula, seppur raffinata, non sembra funzionare da sola, se non corroborata da una maggiore convinzione. E per lo più con l'effetto deja-vu ad appesantire il tutto. In altre parole: giacche e cravatte non bastano più.
Il tutto fluisce bene ma anonimo, tanto che non saprei quali pezzi citare; tutti i brani sono carini, nessuno fa schifo, ma nessuno fa gridare al miracolo: “Sad Almost a Winner” è per esempio una buona ballata intrisa di struggente malinconia, capace di mostrare una sensibilità inedita per la band; piace inoltre “My Erotic Sacrifice”, incalzante, con le sue chitarre arpeggiate dal gusto retrò; degna di nota anche la smithiana “German Boys”, allegra, saltellante, simpatica, che di sicuro diverrà un classic
Se siete fan sfegatati degli Spiritual Front, concedete comunque un ascolto ad un album che definire brutto sarebbe una bugia. Se invece non conoscete gli Spiritual Front ma ne siete incuriositi fiondatevi direttamente dalle parti di “Armageddon Gigolò”: non vi cambierà la vita, ma passerete tre buoni quarti d'ora.
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