Ho già introdotto i neozelandesi Split Enz con una recensione che si è occupata della fase Progressive del gruppo dell'eclettico Timoteo Finn.

Oggi ci occuperemo della svolta decisiva che i nostri (ormai non più) truccatissimi eroi hanno preso a ridosso degli '80. Il disco si chiamerebbe "Waiata", ma in Australia (forse l'unico paese che ha accolto sul serio questa band di scavezzacollo) è stato rilasciato col nome di "Corroboree" ed anche in Occidente è rimasto il dubbio su quale fosse l'edizione primigenia.
"Waiata" e "Corroboree" sono due termini dei rispettivi paesi (Nuova Zelanda ed Austrialia) per indicare il complessivo dei riti e delle danze sacri alle popolazioni maori ed aborigene.

Ancora una volta non partiamo dal "primo" dei dischi New Wave degli Enzi, che sarebbe in effetti True Color (tralaltro pregevolissimo). Ho invece scelto "Waiata/Corroboree". Perché? Perché io lo considero come uno dei dischi più puri e sinceri del filone New Wave. Racchiude in sé appieno quella duplice natura romantico-gotica, che, unita a quel, tipico, suono plasticoso e rieccheggiante, fa di questo album con tre accordi in copertina, un vero capolavoro del suo genere.

E poi contiene "One Step Ahead", che di per se farebbe salire le quotazioni di ogni album a 4-5. E non soltanto per il fatto che, anticipando, come riporta ogni fonte appropiata, il compianto Jackson, il tastierista Reyner si esibisce in un cortissimo moonwalk nel video.

Paradossalmente, dopo aver lasciato Geoff Emerick (tecnico di McCartney, preso a calci nel sedere da un sempre più alienato John Lennon) e la fase Progressive-sperimentale, tralaltro mai rinnegata (il video di "History Never Repeats" rende abbastanza bene il concetto), bensì messa da parte (ripropostissima ai Live, infatti), Finn e Co si lavano definitivamente la faccia, ancora sporca di trucco, e vestono i panni del tipico eroe abbattuto degli anni '80; non molto differente dal pagliaccio tragicomico dei '70, in effetti. L'album è un susseguirsi di fughe ritmiche e suoni dal sapore agrodolce; i brani si alternano sempre tra una melodia cupa e malinconica ed i classici pezzi svolazzanti ed eterei di scuola Genesis (capisco che il periodo New Wave dei Genesis vi farà schifo, ma c'est la Vie).

Di per se, i primi dieci brani sono magistrali nel loro sapersi imporre come una piccola 'pedia musicale della Nuova Onda e sfruttano in maniera assoluta ciò che di buono (forse non molto, ma c'est la vie) si era saputo introdurre al tempo, specialmente a livello di produzione. Davanti all'ampia gamma di suoni, rumori, macchinari e possibili sperimentazioni, la geniale lampadina dei poliedrici neozelandesi si accende e da vita ad un album di tutto rispetto e carico di personalità.

Ma finora abbiamo parlato di solo dieci brani. In realtà ne esiste pure un undicesimo; ce ne mettiamo in ascolto: ma cos'è? Si chiama "Albert Of India" ed è il lascito finale di un inspiratissimo Rayner (che, laddove Finn è spirito indomito e creativo, si contrappone come pianista elegante e raffinato) che accompagna l'uditore sino al termine della Waiata. È un pezzo orientaleggiante (anche se dal loro punto di vista l'India sta ad occidente) universalmente molto profondo e sereno; ci si riallaccia così di forza al prog dolce che si andava definitivamente spegnendo proprio in quegli anni.
Ed anche questo sfizio è tolto in un album che, se amate la New Wave o anche solo gli anni '80, non dovreste mancare di procurarvi.

Se poi trovate da ridire, c'est la vie.

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