Il primo disco degli Spock's risale al 1995, e immagino che più di qualcuno all'epoca, a sentire questa festa di prog sinfonico, abbia gridato ?- modello Maria Maddalena che torna dal sepolcro - alla resuscitazione in grande stile del progressive vecchia scuola. In effetti gli spettri dei grandi settantini, Genesis in primis, aleggiano in modo deciso, eppure di stile personale qui ce n'è.
Neal Morse e soci non hanno inventato nulla, sia chiaro, ma nel loro calderone sono riusciti a cuocere un saporito sformato di “sinfonicità” mescolandolo con le sonorità degli anni '90.
“The Light”, prima composizione delle quattro che costituiscono quest'album, comincia con una intro di piano in cui la voce di Morse intona con un pathos che rimarrà costante la tematica portante dei testi. In “The Light” le liriche sembrano suggerire un risvolto esistenzial/trascendentale evidentemente caro al nostro Neal (come confermeranno gli eventi lì da venire). Nel mezzo vengono narrate micro-storie allegoriche. Ad esempio le parti V e VI (“The Man in the Mountain”, inserto pianistico tanto bello quanto struggente, e l'ironica e spagnoleggiante “Señor Valasco's Mystic Voodoo Love Dance”) e anche la part VII (“The Return of the Horrible Catfish Man”) in cui il buon Neal dà prova di essere un ottimo cantante-attore. Sopra “The Light” sarebbe interessante trarci uno spettacolo teatrale, tanto a tratti si fa labile il confine con i toni “da musical”.
L'altra mega-suite del disco (23 minuti), “The Water”, è un'ideale prosecuzione della prima (se non vi fosse bastato il quarto d'ora abbondante che dura), ed è assai cangiante: cori in sottofondo danno una base soul-gospel alla canzone da cui Morse e soci decollano per incursioni nel country, nel funky (part VI, “Running the Race”), e, al minuto 18, persino per un omaggio ai Pink Floyd (part VII, “Reach for The Sky”).
A chiudere il disco quello che è la madre delle classiche canzoni alla Spock's Beard: “On The Edge”: grande tecnica e melodie esaltate dalle briose tastiere (qui nella fase pre-Ryu Okumoto). Ciò che aggiunge potenza al tutto però - e che mi rende l'ascolto degli SB sempre un piacere nonostante le frequenti prolissità di questi grandi musicisti – è il basso pulsante e muscolare di Dave Meros, vero valore aggiunto in questo prog altrimenti classicheggiante.
Da avere se vi piace il progressive “de 'na vòrta” rivisitato in maniera fedele e potenziato al mastering dei giorni nostri.
Voto: 3,5/5
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