Siamo sul finire degli anni sessanta. Nel 1969 per la precisione. Un'epoca in cui c'era una grande fame di cultura, un'esplosione di creatività, una tensione palpabile che si allargava a tutti gli strati sociali. Si credeva di poter cambiare il mondo. Anche se in fondo ogni generazione crede di poterlo fare e nella realtà il mondo cambia sempre. Ma non è questo il punto. Il punto è che nessun cambiamento fu mai così libero, frenetico e condiviso come allora. Lo testimonia ciò che ne è rimasto negli anni, quanto siamo a tutt’oggi ancorati a quel periodo e soprattutto quanti artisti dell'epoca hanno lasciato il proprio marchio indelebile nella storia. E ciononostante è esistito anche un florido sottobosco, probabilmente altrettanto estroso ed influente, che purtroppo non ha superato la prova del tempo. Talvolta anche gli eroi anonimi lasciano segni profondi ed è il caso degli Spooky Tooth, band appartenente all'underground inglese, autori di un rock a tinte hard che attinge un po’ al soul e un po’ al blues, senza disdegnare qualche accenno di psichedelia. Una musica eterogenea quindi, anche se non abbastanza audace da rientrare nel progressive, dominata dalle doppie tastiere di Mike Harrison e Gary Wright, ed in particolare dall’hammond spesso aggressivo di quest’ultimo. I due si dividono anche le grintose parti vocali, giocate sulla contrapposizione della voce acuta ed i falsetti di Wright e il più profondo timbro soul di Harrison. Gli altri strumentisti non sono comunque dei semplici comprimari, né degli sprovveduti: il bassista Greg Ridley suonerà in seguito negli Humble Pie, mentre il chitarrista Luther Grosvenor entrerà nelle fila dei Mott the Hoople. Entrambi non si nascondono e anzi contribuiscono alla fantasia compositiva del gruppo con le loro linee e riff taglienti, pur se meno in evidenza rispetto ai compagni. “Spooky Two”, come dice il titolo stesso, è il secondo lavoro dalla band ed è senza ombra di dubbio la vetta artistica della loro carriera. La qualità delle canzoni porta la musica oltre le prestazioni o i difetti di produzione, al contrario ne fa apprezzare ancor di più il lato genuino e passionale. Ogni singola traccia riesce a spiccare, risultando spesso “orecchiabile” ma senza assolutamente cadere nel banale. Tra queste “Better By You, Better Than Me” è certamente la più accattivante e probabilmente tra quelle più dure del disco, verrà ripresa in seguito addirittura dai Judas Priest. “Feelin’ Bad” è un altro highlight e ricorda i primi Traffic, soprattutto per la sezione ritmica in grande spolvero e l’indovinatissimo ritornello quasi gospel. Da segnalare infine le due canzoni più particolari del lotto. La lunga “Evil Woman”, con il suo ritmo cadenzato ed ipnotico può ricordare i Black Sabbath (non solo nel titolo), con la piccola differenza che al posto della voce gracchiante di Ozzy c’è il falsetto lancinante di Wright. “Lost In My Dream” si muove invece su territori psichedelici e atmosfere più simili ai Jefferson Airplane, con la chitarra di Grosvenor in bella evidenza. Il resto del disco, come già scritto, si mantiene su buoni e a tratti ottimi livelli, lasciando la sensazione che il pubblico abbia terribilmente sottovalutato gli Spooky Tooth. Le cose non cambieranno negli anni a venire, nemmeno con il restyling che vede l'introduzione nella band di Mike Patto alla voce e Mick Jones (quello dei Foreigner) alla chitarra, e nonostante dischi di buona fattura come “The Mirror”. Forse è mancato il carisma, oppure qualche episodio singolare, o chissà cos'altro. Il successo è una strana combinazione di capacità, costanza e circostanze, ma alla fine sono convinto che ci voglia anche e soprattutto una discreta dose di fortuna. Malgrado tutto siamo qui a parlarne dopo quasi mezzo secolo.

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