Street metal e sleaze allo stato puro, nudo, crudo e selvaggio!

Questo erano gli Spread Eagle, quattro anime dannate sputate dall'inferno per cantare frustazione, fame di sesso ("Hot Sex" del primo album), rivoluzione e le cose peggiori di questo mondo. Al contrario, le cose migliori sono destinate a scomparire e di fatti i membri del gruppo tornarono a navigare con Caron Dimonio lungo lo Stige.

Grande rimpianto per questi quattro statutunitensi (di cui però 3/4 di origini italiane, buon sangue non mente!) nella figura del bravissimo cantante Ray West, rabbioso ma al tempo stesso capace di esprimere una grande passionalità; Paul Di Bartolo, chitarrista forsennato che scuoia la chitarra come se fosse la pelle di un serpente; Rob De Luca, bassista psicotico e psicopatico che siliconava per bene il gruppo ed infine l'ultima anima infernale a nome Tommi Gallo, batterista preciso e chirurgico come non mai. 

Avrei voluto parlare di tutta la rabbia in corpo che avevano nell'album omonimo di esordio datato 1990, ma non so perchè ho sempre preferito questo loro secondo album "Open To The Public" del 1993. Sarà perchè per me è sempre stato più vario, riflessivo, ragionato e con un "groove" più sexy (eh già si vede che qualche canzone fa arrapare che ne so!), vuoi anche perchè ho un occhio di riguardo per gruppi sfigati come loro, non ho saputo fare a meno di questa recensione. 

Ecco quindi che si passa dall'epicità di canzoni come l'opener "Devil's Road", alla dolcezza infinita della conclusiva "Faith" con Ray West dotato di una sensibilità incredibile in questa bellissima ballad. Strano ma vero, non mancano altri casi di apparente calma: la spensierata "Fade Away" o la solare "Shine" (più solare di così, lo dice anche il titolo!).

Stop, finisce qui la calma, perchè nel disco si fa sul serio, come in episodi più rabbiosi come nel caso della infernale "King Of The Dogs" o di "If I Can't Have You..." o in canzoni più pensate e decisamente intriganti, tipo la bellissima "High Horses", con dei cori niente male e nel caso dell' hard rock di classe di "This is My World". E che dire di "Revolution Maker"? Semplicemente un pugno sullo stomaco, con una parte centrale a dir poco da infarto, con una apertura melodica grandiosa!

Non mancano sorprese come nel caso della blues-oriented (alla Aerosmith) "Preacher Man" o nel funky alla Bang Tango di "Rhythm Machine". Ma è l'album stesso ad essere una sorpresa continua...e nel frattempo continuo a chiedermi come è possibile che un gruppo così abbia dovuto gettare la spugna: le carte in regola c'erano tutte, che c'era di sbagliato? Il grunge forse? Sinceramente non sono un psicologo e a queste domande preferisco non dare risposta: io faccio vincere la musica e se l'inferno me lo cantano gli Spread Eagle ci voglio rimanere per lungo tempo! 

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