Finisce sempre così. C’è una collaborazione tra due autori arcinoti, stimati, apprezzati, con lunghissime e meravigliose carriere alle spalle e la prima cosa che si cerca tra le note del disco è se abbia vinto uno o l’altro. Si parla di vittoria di sound ovviamente. Già perché deve essere pur vero che, tra i due, uno debba per forza dominare: l’equilibrio è impossibile, il principio dei vasi comunicanti non è applicabile, insomma.

Qui, i due mostri sacri che devono scontrarsi sono niente popò di imene che Chris Squire e Steve Hackett. Ovviamente non tocca a me presentarli. Diciamo che o si conoscono o niente.

Da parecchi mesi si parlava di questa collaborazione, ma che cazzo di nome … Oddio, già sapevano che l’Italia sarebbe stato uno dei punti forti della loro possibile espansione commerciale. E allora, come avrebbe suonato il nome “Squackett” potevano chiederselo? Cacchio, sembra un qualcosa legato ad una scarica di dissenteria!

Pensiamo alla musica. Cosa possiamo aspettarci da due progster incalliti? Pop rock, ovviamente. Sì, qualche traccia di AOR, qualche atmosfera trasognata, tanto basso e tanta chitarra. Il succo, il segreto, il mistero da svelare che attanagliava prima dell’uscita, non lascia adito a speranza alcuna: non c’è progressive, non c’è musica di livello compositivo complesso, arte sparata fuori dalle corde dei due, al limite raffinate melodie e momenti di buona musica.

Vero che quando Hackett imbraccia l’acustica, anche solo per brevi passaggi, intro o intermezzi la pelle d’oca tende a spuntare, ma non si può certo elevare a capolavoro un disco per pochi brevi momenti. Il cantato è, anche questo, diviso tra i due, anche se predomina un poco Hackett. Analizziamo qualche pezzo. L’opener e title track “A Life Within A Day” è un poderoso, hard pop dai tenui suoni arabeggianti. Un brano decisamente hackettiano con un intermezzo strumentale davvero piacevole, dove i due fanno vedere che, volendo, ci sanno fare, eccome. Da citare “Aliens” tra le cose positive, un mid – slow, forse persino ballabile a lento, che poteva stare anche su qualche recente lavoro dell’ex Genesis. Notevole, forse miglior brano del mazzo “Stormchaser” con il suo basso pulsante, finalmente il Rickenbacker salta fuori, ecco che poi arriva una citazione (improvvisa e inaspettata) dei King Crimson di Lark’s Tongues! Positivo anche il giudizio per  “Sea Of Smile”, brano abbastanza vario con alcune cose davvero carine. Poco, poco convincenti altre cose come “Divided Self”, una sorta di AOR alla Boston o Styx, piuttosto banale nel suo ruotare attorno ad un arpeggio troppo risentito e ricoperto da inutili tentativi melodici e di ritornelli di presa rapida. Anonima e inconsistente “The Summer Backwards” brano di Hackett in pieno, ma che a parte qualche momento corale, dice davvero poco. In ultimo cito ancora “Can’t Stop The Rain”, a metà strada tra il Mike Oldfiled più leggero e i Bee Gees, lenta, pacata e molto orecchiabile dove domina lo spirito di Squire, si risolleva solo un po’ nel finale con un discreto assolo di chitarra e uno break che porta all’ultima traccia.

Quello che avviene, tirando le somme, è che ci si trova tra le mani un prodotto artisticamente lontano dagli Yes (decisamente), lontano dai Genesis (decisamente), vicino alle cose soliste dell’Hackett recente, ma con un occhio strizzato verso cose più orecchiabili e di diretto approccio, mantenendo però un indirizzo di divertente parodia e di sapiente autoironia. Allora chi ha vinto? il giudizio è definitivo e non c’è equilibrio sulla scacchiera, Squire Vs Hackett è esattamente quello che ci si aspettava: Squackett!!                     

PaP - Sioulette

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