Ci sono tre uomini che stanno piangendo sulla tomba di un loro amico. Il loro dolore è reale, condiviso, muto. Un dolore privato che vuole essere appartato, pudìco. Per questo si sono defilati, non hanno seguito le esequie – troppa gente, troppo rumore - vogliono piangere senza pubblico. Ed in effetti pubblico non ce n’è! Anzi, a dirla tutta, lì non c’è proprio nessuno. Eppure quella dovrebbe essere la tomba di uno famoso!

-“Ma qualcuno ha letto il nome sulla lapide?”

Il suono delle risate trattenute è simile ad un lamento e si mischia alle lacrime. Chi, passando, li osservasse non potrebbe che crederli in preda alla disperazione.

Prima di andare via si sente ancora una voce: “Siamo rimasti in tre... proprio come i Police!”

Quei tre sono Giancarlo Bigazzi, Totò Savio e Alfredo Cerruti, il quarto – quello nella tomba – non so chi sia. Ma quello che avrebbe dovuto esserci era Daniele Pace. E se non sai di chi stiamo parlando, allora pensa a quattro canzoni italiane, le prime che ti vengono in mente, le più famose che conosci. Ecco! In almeno due (se non tre) di quelle canzoni ci ha messo le mani (composto, arrangiato, prodotto) uno di quei quattro tizi. Professionisti seri nel campo musicale, temuti e rispettati; gente che muove interessi milionari, che fa e disfa carriere e sogni. Insomma, pesci grandi, in cima alla catena alimentare. Benestanti maggiorenti di quella industria dell’intrattenimento di cui conoscono tutti i più reconditi meccanismi e delle cui nefandezze (soprattutto musicali) sono gaudenti beneficiari.

Di giorno.

Perché di notte quei quattro novelli mr. Hide, già compagni di leggendarie bevute e terrificanti scherzi telefonici, davano vita ad una creatura assurda e mutante: gli Squallor!

Tutta colpa di Cerruti che, un giorno, si trova a guardare un filmetto - “Bedazzled” - nel quale un fantomatico gruppo, i Drimble Wedge and the Vegetation, esegue una canzone in cui il cantante, invece di cantare, recita il testo con tono distaccato. A Cerruti l’idea piace e decide di usarla: produrrà un disco di testi poetici, recitati da fini dicitori su basi composte ad hoc. E le idee di Cerruti nessuno le discute, lui, lì alla CGD, è ben più che il direttore artistico, è un professionista serio che è stato portato via alla Ricordi a suon di bigliettoni e con un contratto nel quale, il nostro, si era fatto mettere nero su bianco che gli fosse VIETATO di entrare in ufficio prima delle 14,00!

Il progetto prende forma nel ’71 e, quando arriva il giorno dell’inizio delle registrazioni, tutto è pronto. Ci sono i tecnici, i fonici e gli amici di sempre: Savio, Pace, Bigazzi ed anche Elio Gariboldi che sarà il quinto Squallor fino al 1974; manca solo l’attore che deve prestare la voce. Così mentre lo aspettano, Cerruti, ordina di far partire la base, per provare i microfoni ed i volumi della voce, e comincia a dire tutto quello che gli passa per la testa. Va avanti per un po’, poi si accorge che – al banco di regia – stanno tutti ridendo, Pace gli fa cenno di continuare e lui non si fa pregare. Intanto registrano…

Nascono così gli Squallor e “38 luglio”, il loro primo 45 giri (ed anche prima hit: venderà quasi 100.000 copie!).

E’ l’inizio di una storia che durerà quasi un quarto di secolo e di cui ci rimangono 14 dischi (più uno di remix) due film e una gigantesca quantità di tributi.

Quattordici dischi frutto di registrazioni avvolte nella leggenda, storie di notti annegate in fiumi di alcool, di studi aperti solo per loro fino all’alba e nei quali passava chiunque (da Zero alla Bertè, dagli Alunni del Sole a Little Tony, etc. etc.), tra scherzi, sesso, schiamazzi e goliardate ma anche lavoro e capacità tecniche di gente che maneggiava il prodotto musicale come pochi altri. Molti dei presenti restavano allibiti nel constatare quante e quali idee musicali venissero “sprecate” in quel “gioco” che – a qualcuno – sembrava poco più che lo sfogo di un gruppo di gaudenti cazzari.

E, invece, era una cosa seria.

“Cambiamento”, il loro ultimo disco è del 1994 (ma”(S)hit Squallor Remix” è del 2000) . Intanto, Pace – come abbiamo visto – se n’era andato nell’85, Savio lo segue nel 2002 ma dal ’90, a seguito di un tumore alla gola, perderà progressivamente la capacità di cantare e Bigazzi e Cerruti ci lasceranno l’uno nel 2012 e l’altro nel 2020. Insomma la storia degli Squallor è la storia di una vita.

Non si smette di essere uno Squallor, è come per i Cows (il gruppo di musicisti, tutti suicidi, che suonano ad un concerto raccontato da Boncompagni su “Vacca”): una puttanata terribilmente seria, una cosa di cui non ha senso chiedersi il senso.

Così come non ha senso fare differenze tra un disco e l’altro o chiedersi quale sia migliore; se io preferisco “Vacca” è solo per un motivo personale: è il disco con il quale li ho conosciuti. Ascoltai il pezzo che dà il titolo all’album in uno dei loro rari passaggi radiofonici e ci cascai in pieno! Ero convinto che Boncompagni stesse presentando un gruppo reale, quando finalmente capii che ero stato preso per i fondelli, rimasi assolutamente impressionato da quella roba mai sentita prima.

Poi ascoltai anche gli altri dischi.

E, alla fine, di una sola cosa mi sono convinto: che qui non c’è niente da ridere.

Certo, il bestemmione improvviso, la cazzata inaspettata, il tripudio di cazzifigheculichiavate che stordisce, la pura follia di qualche passaggio, il sorriso o il ridacchiare nervoso te lo tirano anche fuori. La prima volta (o al massimo anche la seconda volta) che li senti. Ma poi?

Che non si faccia l’errore di scambiare questa cosa per comicità! Qui non c’è ironia o umorismo, né satira né – meno che mai – demenzialità o volontà parodistica; si potrebbe credere di trovarsi in presenza del grottesco ma sarebbe un errore. Della “comoedia” non c’è la forma, la struttura, la volontà, il fondo moralisticheggiante, il rapporto complesso fra il comico e l’oggetto del suo scherno. Il nonsense non ha mai fini disvelatori e l’oscenità non provoca nessun imbarazzo. Ma soprattutto, del comico, qui manca uno degli aspetti essenziali: il rischio. Eppure la loro violenza verbale spara raffiche ad alzo zero su tutto: la Chiesa, la famiglia, le donne, gli omosessuali, gli intellettuali ed in primis l’ambiente musicale. Ma nessuno si sente offeso.

Nessuno si fa male con gli Squallor (loro per primi).

Gli Squallor non c’entrano niente con tutti i gruppi più o meno demenziali che erano venuti prima e che verranno dopo di loro. Quei quattro dandies, potevano permettersi di strafottersene della censura, delle pressioni di case discografiche, delle radio, dei giornali di settore e persino del pubblico. Perché loro potevano strafottersene di vendere!

Che, poi, novelli re Mida, venderanno e venderanno pure tanto; senza concerti, promozione, passaggi radiofonici, interviste televisive ed altre marchette. Venderanno persino oltre la loro volontà ed intenzione; si pensi al caso di “Bla, bla, bla” che in Francia viene scambiata per una canzone seria ed entra in classifica!

E, quindi, chi erano – “cosa” erano – alla fine gli Squallor?

Cerruti dirà, in un’intervista, che è stato un modo – per loro – di salvarsi l’anima. Non stento a crederlo. Ma che sia stata una ricerca di catarsi o solo un gioco maledettamente serio (per loro!) in realtà poco importa. La domanda vera è: per noi, noi che li abbiamo ascoltati ed ancora li ascoltiamo, gli Squallor, cosa sono?

Io posso rispondere solo per me.

“Vacca” è del ’77 ed il ’77 a me è stato solo raccontato perché nel ’77 ero ancora troppo piccolo e tontolone. Ma mi è stato raccontato da chi c’era ed era poco più grande di me e ne portava addosso i segni. Mi fu raccontato di Claudio Miccoli che fu ammazzato di botte perché si era andato a bere una birra con gli amici nel posto sbagliato o di Cesare, che era solo il fratello maggiore di qualcuno che conoscevo, che un giorno fu trovato in un vicolo con ancora la siringa nel braccio.

Insomma erano anni di merda.

E che in quegli anni uscissero dischi come “Vacca” o come “Pompa”per me significa qualcosa, nel bene o nel male. E, sì, spiega anche perché la Rivoluzione non s’è fatta…

Alla fine, restano certe serate passate in macchina a cantare “o tiempo se ne va e tu nun può chiavà”, restano 14 dischi mediamente inascoltabili ed anche un pugno di grandi canzoni (tutte a firma Totò Savio).

E non c’è niente da ridere.

“Cornutone, allisciame ‘stu bastone”

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