Quando mi capita di spolverare (molto raramente) il mobiletto dove custodisco come cimeli religiosi tutti i cd comperati negli ultimi 30 anni mi rendo conto di parecchie cose: che ho acquistato autentici capolavori e me ne vanto con me stesso (sic), che altri cd li ho comprati solo perché mi piaceva la copertina, altri ancora consigliati da fantomatici amici “ferrati” sulla musica. A volte ho comperato anche delle grandissime boiate come è normale che sia. Ma è durante lo spolvero che vengono fuori dei lavori che all’epoca dell’acquisto magari non mi hanno regalato le emozioni che invece ho avuto a distanza di decenni riascoltando l’opera.
Mi è capitato oggi con un vecchio disco degli Stadio, complesso emiliano doc, ex gruppo spalla di Lucio Dalla che li ha tenuti a battesimo nel lontano 1982 arrangiando il loro primo lavoro. Il disco in questione è uscito nel 1991 e si intitola “Siamo tutti elefanti inventati”, forse il lavoro migliore insieme a “Di volpi di vizi e di virtù” e “Stabiliamo un contatto”. E’ infatti questo trittico a discostarsi dal resto della produzione piena zeppa di testi banalotti sull’amore e le sue migliaia sfaccettature affidati a tale Saverio Grandi il quale dopo qualche buono spunto (“Lo scatolone” per esempio) ha scritto quasi esclusivamente d’amore cose trite e ritrite. E poi nel trittico sono contenute canzoni degne di questo nome, basti pensare a “Swatch” scritta dal Guccio, a “L’appostamento” di Bergonzoni o a “Canzone d’amore sprecato” scritta da Vecchioni fino ai pezzi firmati dal poeta Roberto Roversi (proprio lui, il Norisso delle automobili dalliane).
Per questo oggi ho rivaluto gli elefanti inventati perché non è un lavoro “monotematico” ma piuttosto variegato che contiene delle piccole perle dimenticate e non annoverate tra i brani famosi degli Stadio. Il disco, molto gradevole, saggiamente arrangiato, ricco oltre che di schitarrate anche di fiati che lo rendono più corposo e completo, mette alla prova la potente voce di Gaetano Curreri, probabilmente nel suo periodo migliore. Alcune delle penne che hanno partecipato alla scrittura dei brani sono tra le migliori dello scibile cantautorale italiano.
Il cd dopo “Cerca di non esser via”, scritta dal miglior Vasco Rossi, e la televisiva “Generazione di fenomeni” ci regala una grande prova vocale di Gaetano Curreri nel brano “Pelle a pelle” con parole di Luca Carboni dove il lead vocal mette a frutto l’esperienza e gli anni di gavetta passati con Dalla. Si arriva così all’inarrivabile, alla canzone suonata e cantata “pesantemente”, un pezzo che difficilmente gli Stadio ripeteranno. Un solido rock dal testo interessante, zeppo di tastiere e chitarre, interamente firmato da Ivano Fossati che lo ha inserito in seguito nel suo “Lindbergh” del 1992. Basterebbe questa canzone a rendere il lavoro più che dignitoso ma si può ascoltare anche altro come la “Segreteria telefonica” con testo di Claudio Lolli: una storia forse finita o forse no, l’appello di un uomo rivolto alla sua donna, anzi alla sua segreteria… E’ vero, siamo lontanissimi dalla poetica lolliana ma è sempre Claudio, e si sente! Intenso il finale del brano con la tromba di Marco Tamburini.
I ragazzi (all’epoca lo erano) hanno padronanza degli strumenti e si fanno sentire anche nelle canzoni minori del disco “Ho bisogno di voi” e “Chissà che cos’è” dove i testi di Saverio Grandi firmati con Curreri non sono all’altezza delle musiche. La ciliegina sulla torta resta quel “Bianco di gesso e nero di cuore” parole di Roberto Roversi, vero inno all’integrazione razziale, composto nella sua libreria antiquaria di Bologna “Palmaverde” dove da ragazzo ho avuto l’onore di entrare una sola volta ad ascoltare Roversi che mi parlava di resistenza e della grandezza della scrittura capace di fare breccia fra i popoli di tutte le razze e religioni.
Un disco dignitoso da ascoltare e riascoltare perché, purtroppo, dopo il 1995 (anno di “Di volpi di vizi e di virtù”) la produzione del gruppo si è appiattita terribilmente con lavori che, tranne qualche sporadico caso, non hanno detto nulla di nuovo.
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