Dodici lunghi anni ci separano dall’ultima fatica in studio degli Staind, band di Springfield, Massachusetts. Nel frattempo, Aaron Lewis ha cacciato lo storico batterista Jon Wysocki (dopo le litigate addirittura documentate nel dvd allegato al loro ultimo disco insieme), rimpiazzato poi da Sal Giancarelli; si è fatto odiare da tutta l’America democratica (ed anche da parte di quella repubblicana) per alcune sue esternazioni discutibili e di fatto si è dedicato esclusivamente alla carriera solista, sfornando quattro notevoli album di musica country.

Dopo il 2014 ed alcune esibizioni live, si pensava che il sipario sulla musica degli Staind fosse ormai calato, complice il silenzio della band, il passaggio del chitarrista Mike Mushok ai Saint Asonia (superband capitanata da Adam Gontier dei Three Days Grace) e la poca voglia da parte di Lewis di parlare di futuro. Nel 2017, durante un concerto a scopo benefico, le parole del frontman hanno messo la parola fine alla dimensione live nonché a quella creativa.

La pandemia ha poi tenuto a bada qualsiasi intenzione di tornare a calcare i palchi e siamo arrivati ai giorni nostri. Tramite l’Evening with Staind Tour, tenutosi nel 2022, è stata annunciata l’imminente pubblicazione del nuovo album in studio e del primo singolo inedito “Lowest in Me”.

“Confessions of the Fallen” è un disco che stupisce, non tanto per aver riacceso una fiamma spenta ormai da tempo ma perché ha confermato il talento e la qualità di una band che, dopo quasi trent'anni, sa di avere ancora molto da dire e dare al suo pubblico.

“Lowest in me”, la prima traccia, parte subito con richiami ai riff distorti di “Open Your Eyes”, che non a caso è l’opening dello storico pluripremiato “Break The Cycle”, pubblicato nell'ormai lontano 2001.

In buona parte della tracklist torna il profondo scream a lambire i ritornelli, biglietto da visita di Aaron Lewis, che sfodera una maturità vocale ancora più significativa, se ce ne fosse bisogno. Le sue ottave raggiungono i picchi dei periodi più gloriosi, cosa particolarmente evidente nella power ballad “Here And Now”, dal testo e dall’atmosfera coinvolgenti.

La cupezza e la malinconia, tipiche del sound della band, sono parte dell’intero lavoro. “Cycle of Hurting” è l’esempio lampante dell’altalena emotiva e riflessiva che le corde di Mike Mushok e Johnny April provocano all’orecchio dell’ascoltatore. La voce intensa di Lewis ci guida in un viaggio a ritroso nel passato. Quel passato che il frontman non si è mai scrollato di dosso e che è stato da sempre, per lui, di grande ispirazione. Il tratto autoreferenziale è evidente in “Hate Me Too”, che è disperata ricerca di auto-accettazione e perdono.

Per la prima volta i riff e le percussioni sono accompagnati dall’elettronica, cosa che impreziosisce il sound ma in parte inquina il suo tratto caratteristico, per il quale si attinge in modo evidente dai primi intoccabili lavori. La si trova fin da subito, con ritmo sincopato, in “Was Any Of It Real”, poi come tappeto al pesante riff di “The Fray” (ricordando a tratti soluzioni adottate dai primi Evanescence), infine a rallentare il ritmo cupo e forsennato della closing omonima “Confessions Of The Fallen”.

Non mancano neppure variazioni di stile, ne sono testimoni “Out of Time” e “In This Condition”, entrambe realizzate con arrangiamenti fluidi e dinamici cambi di rotta, che creano un’atmosfera ipnotica.

Nei testi, alla costante malinconia si affianca la speranza. Si guarda al buio del passato e si sorride ad un futuro luminoso, mentre ci si rende conto quanto si possa apprezzare il lato bello della vita. Gli Staind ce lo dicono con la splendida “Better Days”. Dal titolo eloquente e con un’apertura tra note di pianoforte, ci accarezza e ci carica di ottimismo.

“Confessions of the Fallen” è un album che graffia e scava nel profondo della nostra anima. Questo sanno fare gli Staind, creare una connessione con gli ascoltatori, allineando i conflitti interiori e i pensieri di ognuno. Aaron Lewis ha ammesso di essere ancora oggi in costante lotta con i suoi problemi e ha garantito che questo trapela da ogni singolo pezzo. Le dieci tracce sono state scritte con la stessa onestà con la quale si confiderebbero le proprie sofferenze e le proprie aspettative ad un amico di vecchia data.

Il passato può essere stato complicato, può aver lasciato strascichi sul presente ma può essere il fulcro di un cambiamento futuro. Non tutto il male viene per nuocere, quindi.

Questo disco è sia un tributo ai fan storici, che un invitante biglietto da visita per chi si affaccia per la prima volta ai lavori della band. E' quindi valsa la pena attendere così a lungo.

Questa è la prova che il potere della musica resiste alle insidie del tempo. Perché si cade e ci si rialza, spesso più forti di prima.

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