11.20 a.m., qualche passo incerto, poi sposto la tenda apro lo scudo del balcone e finalmente il cielo delle mie latitudini è tornato a fare il suo mestiere mostrando una luce accecante. Fa caldo. Qui non è una notizia ma ultimamente m’ero un po’ incupito con un grigio noioso a fare da coperchio al pentolone di giornate lunghe e pesanti. Scricchiola la schiena e sicuramente non sono un belvedere in questo stato. Mi giro e lei già è sgattaiolata via. Una sistematina in bagno e di nuovo sul mio amatissimo materasso. A dire il vero lo abbiamo scelto in due. O meglio, lo ha scelto lei. Forse sarebbe giusto dire che il letto è un’idea sua. Convivere è davvero una scelta di vita. Nel senso di vivere amplificando con due cervelli il tempo, l’unico che ti hanno dato da spendere. So già che, dopo tanti giorni trascorsi ascoltando le nostre rispettive voci al telefono, ora lei sta preparando i vassoietti per la colazione. Oggi non ci sarà telefono che squilla né cliente che rompe. Oggi ritorno anche io a fare il mio mestiere. La scia odorosa di caffè mi dice che ho azzeccato la premonizione. Sono felice ad occhi chiusi. Farò finta di dormicchiare così mi becco qualche coccola in più.
L’accensione delle casse dello stereo mi sorprende un po’. La vedo scorazzare davanti alla porta della camera da letto indaffarata a fare qualcosa nelle altre stanze. C’è più luce in casa e più aria. Ha spalancato tutto. Il primo assaggio di primavera ha svegliato anche lei che dopo tre anni nelle Americhe (proprio tutte e due) ha deciso per follia di seguirmi qui. Io che dovevo essere chissà dove. Mi davano sicuro a Tokyo, pensa un po’. E invece sto qui. Qui dove c’è lei che arriva con tutto ciò che non avrei immaginato potesse riempirmi delicatamente lo stomaco di domenica mattina. La novità è che ha deciso di riempirmi anche le orecchie in maniera diversa dal mio solito.
Il lettore cd di là ha iniziato a suonare un ottimo sostitutivo alle campane domenicali. La sua voglia di anni 60 e di Brasile sta contagiando anche me, per ora cultore dell’America del sud dove si parla spagnolo. Senza bisogno di chiedere nulla, sento dita che mi massaggiano la cute e la sua voce che mi dice “Stan Getz With Guest Artist Laurindo Almeida, 1963”.
I due signori in questione mi hanno regalato, a distanza di ben 47 anni, una giornata che per me significa che l’inverno della mente è finito qui. Mentre il primo pezzo suona delicato e pizzicato, leggermente levigato di sambino d’autore, lei sparisce qualche secondo. Al volo vedo varcare la soglia della porta dalla custodia del cd e meno male che me ne accorgo altrimenti lo avrei preso in testa. Ma che avrei dovuto dirle? Ah ecco, è "Minina Moca" questa canzone soffice che mi fa arrotolare dentro al lenzuolo di nuovo ad occhi chiusi, mentre annuso il suo profumo nella parte di materasso calda di donna. Il cd è interessante. Una sessione di rilassamento per Stan Getz (inutile presentarlo) al sax, Laurindo Almeida (che non conosco ma lei apprezza tantissimo) alla chitarra, George Duvivier al basso, Edison Machado, Jose Soorez, Dave Bailey alle percussioni e Luiz Praga E Jose Paulo a dirigere i ritmi latini.
Col secondo pezzo, "Once Again/Outra Vez", si entra prepotentemente nella bossa nova più magica e dal forte potere onirico per chi ama vivere parte del proprio tempo libero ad occhi chiusi. L’ospite alla chitarra è un raffinato inserto nelle musiche del jazzista Getz: quando suona solo Almeida la mia stanza e la mia mente si dipingono di giallo e oro, e l’atmosfera in casa è subito carioca (ma lei mi rimprovera: è paulista); quando è l’americano a condurre la bossa nova si dà le arie da jazz. Il tutto con due costanti che impregnano le sei tracce: semplicità nella tecnica ed una evidente leggerezza calviniana nell’atmosfera. Non ne so molto di queste musiche ma da utente inesperto penso proprio che sia così.
Lei nel frattempo è di nuovo accanto a me e da dietro la schiena tira fuori uno dei cento e più albumini di fotografie che ha fatto quando viveva a Rio. Mentre lo sfoglia parte "Winter Moon", un’ordinatissima sequenza di toni piacevoli che contengono la poesia di una serenata tropicale. La struttura dei brani mi sembra anch’essa ordinata: poche indicazioni ritmiche di chitarra e percussioni all’inizio, poi c’è il sax di Getz che canta come un’occidentale devoto al Sud America, per un paio di stacchi che potrebbero essere il testo della canzone, e a seguire parte l’assolo di Almeida e poi chiusura in combinata con Getz più sciolto e il chitarrista di Sao Paulo a coordinare il ritmo.
Tutto così rilassante che su "Do What You Do, Do" lei sta ballando accanto al letto. Leggero vola il bacino all’altezza del mio capo impegnato a sorseggiare un the che non conosco e biscotti che chissà da dove ha portato ma hanno una fragranza e una consistenza che profumano di libertà come la musica che stiamo ascoltando. Panterona fa il suo ingresso in casa mia "Samba Da Sahra", pezzo che ha fatto già cambiare i miei propositi estivi (se non li conoscete potete dare un’occhiata tra i DeCasi letterari – Danger Danger/Revolve). Una musica che ha questo potere sulla mia donna mi stimola e mi rende curioso. Ballando a piedi nudi mi porta un altro piccolo album di foto. Salvador De Bahia. È qui che voglio andare mentre Stan Getz affonda un grande assolo che mi vorrebbe far decidere per la Louisiana ma non ci riesce. I confini lussuriosi della samba più maliziosa e lavorata da un occidentale sono quelli del Brasile. Ed è lì che voglio andare.
Poi magari mi ritrovo a Cipro ma quel bacino che sembra una farfalla su "Maracatu-Too" racconta da solo di cosa mi sono innamorato oltre che dell’aspetto. Lo spirito libero, raffinato, elegante, sbarazzino ed estremamente curioso e al contempo sensuale che si muove libero nella mia casa e nei miei giorni contiene tutta la forza culturale ed esplosiva delle movenze che fanno camminare come un accenno di ballo milioni di persone in un paese intero. Le percussioni di chiusura sul meraviglioso arpeggio di Almeida me la fanno già immaginare la mia notte di Salvador. Voglio essere conturbato anche io da quest’atmosfera che ha fatto di nuovo capolino nei miei giorni. Samba sussurrata che si concede alla bossa nova, e questa che dall’altro lato fa l’amore col jazz. Non hanno il sapore del piratesco che ho già sperimentato ma quello di un ignoto che posso provare ad immaginare ma nel cui pensiero m’interrompo per non iniziare un tour de force cervellotico d’immaginazioni a perdere. Questo assaggio di primavera è stato geniale.
Mentre la guardo ballare decido che oggi non deve finire mai.
P.S. – il voto è quattro perché il disco è molto buono, ma di certo non è un capolavoro. Buona estate a tutti.
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