Se si eccettua il suo primo disco solista, 'The Big Heat' (1986), la produzione di Stan Rigway dopo l'uscita dai Wall of Voodoo nel 1983 (praticamente un anno dopo l'uscita del capolavoro, 'Call of the West') non è mai stata oggetto di grande considerazione da parte degli ascoltatori e della critica qui in Italia e probabilmente nel resto del continente. Questo forse perché non è mai stato, non ha mai voluto essere quello che si potrebbe definire un artista 'mainstream' (al contrario, quando gli è successo, ha in qualche maniera rinnegato la cosa: 'We didn't want no MTV/We didn't want no VH1/It was a time so long ago/ Yeah, we had some fun,' canta in una sua canzone dal disco, 'Snakebite) ed è invece uno spirito libero e un artista indipendente, una persona che va al di fuori da ogni schema e forse anche per questo allora sottoposto a una specie di 'censura' da quella che sarebbe la critica tradizionale. In questo senso si potrebbe, volendo, fare un parallelo con quello che scrivevo di recente su Jad Fair. Voglio dire, parliamo praticamente di due artisti e cantanti e scrittori di canzoni che sono sempre stati molto produttivi e che continuano a fare un sacco di buona musica e di buoni dischi, ma per molti tutto questo è come se non stesse succedendo affatto, e questo è un peccato: sono due vecchi bucanieri, navigano mari in tempesta oggi e meglio di come facevano in passato. Con Stan Ridgway in particolare, poi, ammetto di avere un rapporto speciale. No. Non l'ho mai incontrato purtroppo e non ci conosciamo personalmente, ma per quella che fu una vera e propria coincidenza, un caso del destino, costituisce per me un punto di riferimento (come ascoltatore e come musicista) da quando ero solo un ragazzino che ascoltava robaccia tipo la grunge music e la musica pop inglese che passavano alla televisione. Fu a quel tempo che per puro caso presi a prestito una cassetta da un amico molto più grande di me (questo succedeva nella seconda parte degli anni novanta) e che su un lato aveva 'Pornography' dei Cure e sull'altro lato, incredibilmente, questo disco dei Wall of Voodoo intitolato, 'Call' of the West'. Non sapevo assolutamente che cosa fosse naturalmente, ho ascoltato quel disco per puro caso ed è stato qualche cosa di speciale, di magico. Del resto proprio in quel periodo avevo cominciato a suonare la chitarra. Davvero, è stato proprio qualche cosa che ha voluto il destino, credo, e questo disco è ancora oggi ovviamente uno dei miei favoriti in assoluto. Senza dubbio.
A parte quella che è stata questa premessa personale, devo dire che nel corso degli anni ho cercato di ricostruire tutte le tracce che questa specie di bandito travestito da scrittore di canzoni si è lasciato dietro nel corso della sua carriera. Purtroppo, evidentemente, gran parte delle sue pubblicazioni costituiscono materiale difficile da recuperare e del resto a questo punto non sarei affatto in grado di ricostruire una sua discografia ragionata. Però, naturalmente, in questo senso internet ha aiutato e aiuta molto, dando la possibilità al solito in molti casi di scoprire o di riscoprire vecchie registrazioni. Una cosa che poi del resto, internet, se funziona in un senso, può funzionare benissimo anche nel verso oppost. Se sei un artista, un musicista, un cantautore, puoi chiaramente utilizzare internet per pubblicizzare e diffondere in maniera semplice e immediata lavori che altrimenti potrebbero non avere la diffusione che meritino e nel caso finire dimenticati e andare definitivamente perduti.
Quindi, chi lo sa, forse anche per questo motivo, negli ultimi sei mesi Stan Ridgway ha praticamente pubblicato la bellezza di tre nuovi album contenenti materiale diverso e comunque mai pubblicato prima . Tutti e tre gli album sono stati esclusivamente pubblicati in formato digitale (per ora) e sono in realtà disponibili in streaming illimitato via bandcamp. L'ultimo disco della serie è stato 'The Complete Epilogues, uscito lo scorso dicembre e contenente una collezione di canzoni risalenti al periodo in cui è stato registrato 'Neon Mirage' nel 2010 e che non sono state incluse nel disco, quindi altro materiale rilasciato in esclusiva su itunes, cover di pezzi classici (come le tradizionali 'Wayfaring Stranger' e 'Moonshiner', 'Deportee' e 'New Year's Flood' di Woody Guthrie, 'Dindi' di A.C. Jobim e 'Song For Woody' di Bob Dylan), performance live, sperimentazioni in studio, demos e quello che Stan ha definito come un pezzo struggente e un capolavoro di malinconia, cioè 'Over My Shoulder Somewhere', una canzone che egli stesso non riesce adesso a spiegarsi come sia potuto restare fuori dal disco, 'Neon Mirage'. In pratica una specie di regalo rilasciato in occasione delle festività natalizie.
Precedentemente nel mese di agosto, Stan aveva pubblicato altri due dischi facendo praticamente il suo debutto su bandcamp e dichiarando apertamente di volere aprire una specie di comune mostruosa per vecchi lupi solitari che si lanciano a tutta velocità attraverso la Interstate 15, unitamente a Pietra Wexstun, sua moglie e anch'essa vocalist e musicista, frontman del gruppo wave futurista e 'cabaret' Hecate's Angels. 'Rigway & Wexstun Summer Collection', il primo di questi due dischi, contiene in realtà semplicemente canzoni e vecchio materiale raccolto da alcuni dei loro dischi precedenti. 'Priestess Of The Promised Land' è il disco più interessante dei tre, contiene materiale completamente inedito e soprattutto nuove canzoni composte dal duo nel 2016 a Venice, California e masterizzate al Mulholland Sound da Doug Schwartz.
Come tutti i suoi dischi, anche 'Priestess Of The Promised Land' è quello che si può definire una specie di viaggio attraverso la musica e lungo quella stessa strada segnata da Jack Kerouac e Neal Cassady attraverso gli Stati Uniti d'America e in questo caso particolare ponendo l'occhio soprattutto su quel microcosmo che è la California, la città di Los Angeles, che Stan Ridgway ricostruisce nelle sue storie musicali dalle atmosfere dark e cinematografiche, tonalità noir e uno stile carico di riferimenti hard-boiled.
Stan Ridgway e Pietra Wexstun hanno definito i contenuti del disco come, 'Nuovi orizzonti musicali': canzoni e musiche, colonne sonore, sperimentazioni. Uno dei massimi 'cantori' dell'epopea del continente nord-americano degli ultimi trenta-quaranta anni, Stan Ridgway apre il disco con la title-track, una delle nuove canzoni, una ballad rock-blues nello stile di una delle band che lo hanno maggiormente influenzato, i Doors, accompagnata dal suono dell'organo e con quell'approccio cinematografico western tipico di molte sue altre canzoni, un assolato e polveroso giro di ballo sul suolo della madre-terra California.
'Blue Oceans At Dusk', la seconda traccia, è invece il primo episodio che hanno voluto intendere come colonna sonora presente nell'album. Inevitabile in questo caso fare il parallelo con atmosfere tipiche dei film di David Lynch. Un artista che sicuramente ha molto in comune con Stan Ridgway del resto per la stessa maniera di essere visionari ai limiti dell'allucinato. Lisergici nella maniera intesa da Sir Aldous Huxley. Una traccia che ti fa sentire come se stessi camminando sulla superficie lunare da solo, barcollando con una bottiglia di rum tra le tue mani e intanto guardando con nostalgia alla Terra lontana e abbandonata a sé stessa. Una fantascienza che si ripropone anche in, 'Nightworld', dove atmosfere tratte direttamente da, 'Dune', si mescolano a fanfare e toni da marcia da genere peplum. 'Error In Judgment' riprende invece temi più classici da French movies combinati atmosfere noir e jazzy e allucinazioni psichedeliche californiane.
'Pirates' è un remix di una canzone degli Hecate's Angels dal disco 'All That Glitters'. Suonata nello stile tipico della band, ne ripropone le atmosfere dark e l'attitudine no-wave oltre che quello stile mitteleuropeo e cabaret che Pietra è abile nel caratterizzare con l'uso peculiare della sua voce. 'Half Way There' è una versione alternative del pezzo contenuto in 'Neon Mirage', uno dei migliori dischi pubblicati da Stan negli ultimi anni, una polverosa ballata folk qui riarrangiata in una versione molto 'concreta', nel senso proprio di calcestruzzo ('concrete' in inglese, ndr) e in una maniera simile a quella con cui Johnny Cash (un altro dei principali punti di riferimento di Stan) riarrangiava e arrangiava i pezzi che poi sono finiti dentro le diverse 'American Recordings'.
Ovviamente i momenti più interessanti sono le canzoni nuove, gli inediti. Già detto della title-track, veniamo a 'Slippin' Sideways' e 'All' For Love', che in maniera quasi inevitabile suonano in maniera tipicamente-Stan Ridgway riprendendo diversi momenti della sua carriera. La prima canzone potrebbe in effetti benissimo stare nel disco, 'Big Heat', con quel tipico incedere thrilling e un finale carico di fascinazioni western e in perfetto stile Wall of Voodoo. 'All For Love', invece è più una canzone 'criminale', una specie di ballata folk e con venature jazz, una canzone furtiva, fatta per essere ascoltata mentre si cammina a piedi scalzi per non fare rumore, se non si vuole esser beccati in flagranza di reato dalla legge.
Insomma, Stan Ridgway è sempre lo stesso trovatore noir e alchimista del suono di sempre e che abbiamo imparato a conoscere nel corso degli anni a partire dai Wall of Voodoo fino a 'Mr Trouble' oppure magari leggendo Raymond Chandler, la letterature beat, guardando film di David Lynch, Quentin Tarantino oppure John Carpenter, che effettivamente condivide con Stan le stesse radici culturali e non a caso ha come lui costruito la sua intera carriera e il suo intero pensiero sulla visione concettuale di insieme di musica e immagini e non a caso molto spesso (quasi sempre) lavorato egli stesso in prima persona alle musiche dei suoi film. Nonostante non vi siano particolari innovazioni, anche in questo disco come nei precedenti vi sono contenuti originali. Ma come potrebbe essere altrimenti. Parliamo di un cantautore, di uno storyteller, la cui visione nello spazio e nel tempo non hanno confini. Ha la vista lunga, gli occhi di un'aquila e attraverso questo sguardo profondo viaggia attraverso l'intero continente, sorvolando i deserti e sbirciando nei vicoli e negli angoli più remoti della città di Los Angeles come se fosse una specie di investigatore privato. Chi lo sa. Forse è proprio per questo suo sguardo indagatore, questo suo essere un viaggiatore allucinato e visionario che non è così popolare come la grande delle sue capacità musicali e scrittorie vorrebbe. Nonostante questo, tuttavia, succede (qualche volta) che ci sia chi si arrampichi fin lassù dove le aquile fanno il nido e proprio per questo evidentemente, lo scorso anno, gli è stato conferito il 'Premio Tenco', un riconoscimento ottenuto nel nostro paese forse anche in virtù delle diverse collaborazioni con bravi musicisti come Luca Faggella e Giorgio Baldi e qualche cosa che una volta tanto potrebbe magari far chiudere il becco a chi ci vuole per forza definire privi di buon gusto e orecchio musicale.
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