Più di vent'anni fa c'era un gruppo in America che proponeva un'interessantissima versione di country elettronico dai toni malati e talvolta ballabili tipici della new-wave. Il cantante era tale Stan Ridgway, che lasciò dopo l'ottimo "Call Of The West".
Passarono quattro anni prima che potesse avvenire il suo esordio da solista, ma ne valse la pena, perché l'album in questione è uno dei grandi classici degli anni '80.

Cantautore raffinato ed originale, Ridgway affidava la sua musica ad arrangiamenti elettronici talvolta simili al techno-pop inglese, con la differenza però di uno spessore decisamente superiore. Le sue melodie, che ereditavano la tradizione della colonne sonore dei film western e noir, la sua voce inconfondibilmente nasale, la sua pronuncia marcatamente "americana", ma soprattutto le sue storie di falliti e vagabondi, di emarginati e drogati, creavano un'atmosfera notturna, da paesaggio metropolitano deserto. Le sue visioni erano passeggiate per i vicoli malfamati e abbandonati dalla "civiltà", e la copertina del disco ne è una evidente conferma.

L' incedere incalzante della title-track rende un paesaggio quasi spettrale, con un'armonica che echeggia lontana e minacciosa, il tutto si scioglie in un ritornello persino da classifica, da perfetto synth-pop d'autore.
L' incedere sincopato di "Can't Stop The Show" alterna schizzi di basso funky ad elettronica cupa, per poi sciogliersi in una delicata invocazione. Gli arrangiamenti sono sempre curati nel dettaglio, complessi, gradevoli e mai pesanti. L'allegra "Pile Driver" stempera un po' la tensione, che cala nuovamante nell'onirico swing-pop di "Walking Home Alone", un' elegante ballata impreziosita dai tenui vagiti di una tromba jazz.
Il pezzo forte del disco deve ancora venire. E' la splendida "Camouflage", un'epica cavalcata a ritmo western, trascinante come poche, con un ritornello che pare un inno alla libertà, agli sconfinati spazi di un deserto, all'avventura di una vita. La voce di Ridgway si fa profetica, ed intona le sue sentenze di condanna, portata in trionfo dagli intrecci di tastiere, chitarre e banjo. Senza dubbio uno dei brani più belli degli anni '80, che consacra questo disco tra la pietre miliari del cantautorato d'autore.

Se non lo avete fatto, dategli la possibilità di un ascolto, può anche non piacere, ma è un lavoro di grande originalità, oltre che di eccellente fattura.

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