Qualche anno prima della "morte di Hollywood", i kolossal in costume, i figliocci de "Quo Vadis?", erano sul tetto del mondo. E, datosi che un film su Spartaco, il primo ribelle che la storia ricordi, non era ancora stato fatto, perché perdere la ghiotta occasione? Il personaggio di Spartaco venne affidato a Kirk Douglas, non propriamente un tipo malleabile. Anzi, duro, inflessibile. Sul set litigò con tutti (e gli capiterà molte volte): con lo sceneggiatore, Dalton Trumbo, col regista, Anthony Mann (reo, a dire di Kirk, di non riuscire a plasmare bene il personaggio di Spartaco sul suo fisico e sul suo carattere). Quando c'era da protestare Douglas non si tirava mai indietro, litigò, in ordine sparso, con Vincente Minnelli sul set de "Il bruto e la bella" (film, tra l'altro, meraviglioso), con John Sturges e Mario Camerini, durante la lavorazione dell' "Ulisse". Ma con Anthony Mann le cose andarono diversamente. Fra i due non ci furono solo litigate, scambi di opinioni accesi, incomprensioni artistiche. Anche perché di "Spartacus" Douglas non era solo protagonista, bensì anche produttore. Deluso e profondamente arrabbiato, Anthony Mann lasciò il set senza pensarci due volte. A sostituirlo venne chiamato Stanley Kubrick.

Il rapporto Douglas-Kubrick risulta da subito complesso e tormentato, ma assai meno rancoroso di quello col precedente regista. Kubrick si trova davanti ad un bivio: o rimontare e rigirare tutte le sequenze precedentemente girate o adeguarsi e sottostare ai volere del bel divo. Decide di optare, saggiamente, per la via di mezza. Rigirare qualcosina (non tutto), e trovare una sorta di filo comune che leghi le sue volontà e quelle di Douglas. A non combaciare, invece, continuano ad essere i rapporti tesissimi fra l'attore e Dalton Trumbo.

Il risultato di queste ininterrotte liti si riversa, come logico, sul risultato finale della pellicola. Ad una durata eccessivamente magniloquente (più di tre ore), si contrappone una sceneggiatura che dire sfilacciata è quasi un eufemismo, stiracchiata, monocorde, quasi sempre in affanno. Alcune sequenze potrebbero essere tranquillamente mandate avanti coll'apposito tasto del videoregistratore tanto il senso del film non cambierebbe, vedi ad esempio il lungo tormentato finale. Certo, qua e là l'arte di Kubrick salta fuori, specie nelle scene di massa o nelle sequenze, per così dire, quasi "documentaristiche" (Spartaco che si allena con gli schiavi), e, senza dubbio, l'interpretazione di Kirk Douglas è di grande livello, da annoverare fra le sue migliori.

A mancare è la compattezza che ha sempre contraddistinto quasi tutti i film di Kubrick (se si eccettua, in parte, "Lolita"), la mancanza di omogeneità, le tematiche alte proposte da Dalton Trumbo (che voleva realizzare non un semplice kolossal, ma un racconto quasi filosofico sulla forza della giusta ribellione) e le scelte, più sempliciotte e commerciali, di Douglas attore e produttore. Ma a lasciare ancora più perplessi sono le labili psicologie di alcuni personaggi chiave del racconto. Perché tutto si può dire, meno che il cast di questo film non sia di alto livello: Tony Curtis, Laurence Olivier, Jean Simmons, Charles Laughton, Peter Ustinov, John Gavin, Herbert Lom (ve lo ricordate, sarà il futuro Dreyfuss della serie della "Pantera Rosa"?). Eppure, tolte alcune grandi caratterizzazioni (Laughton e Olivier su tutti), tutti gli altri sembrano solo belle figurine, personaggi senza spessore. A partire da Varinia-Simmons (che si lascierà andare ad un finale sconvenientemente strappalacrime), ad Antonino-Curtis, poco più che accessorio, nonostante sia un personaggio essenziale del racconto (nell'edizione originale, per motivi di censura, venne accuratamente taciuta la relazione omosessuale che intercorre fra Antonino-Curtis e Marco Crasso-Olivier). Anche Peter Ustinov crea poco, avrà però la fortuna di essere premiato con un Oscar (cui ne seguiranno altri tre: fotografia, direzione artistica e costumi).

In definitiva, "Spartacus" è il film più anomalo nella filmografia kubrickiana, il suo meno sentito (come ammetterà, anni dopo, lo stesso regista), un film di Kubrick ma non di Kubrick. Se fossimo onesti, quando si parla di "Spartacus" non dovremmo dire regia di S.K. bensì di Kirk Douglas, perché il film è, al 70%, opera sua. E', dunque, un kolossal epico, a metà strada tra lo spettacolo duro e puro e la raffinatezza anti-hollywoodiana, che non sa mai da che parte pendere, e finisce, alla lunga, per annoiare. Da ricordare, invece, gli splendidi titoli di testa, da un idea di Saul Bass (per capirci, quello che, nello stesso anno, creò i titoli di testa di "Psycho"). Non importa se non è un capolavoro, l'importante è che non venga ricordato nella filmografia essenziale di Kubrick.
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