Ero davvero un ragazzino quando lo vidi per la prima volta. Ci capii poco. Mi sembrava una storiella poco verosimile, con una musica stupenda – anche se all’epoca non sapevo cosa fosse la presa diretta.
Poi un amico mi prestò un’ intervista di Kubrick. Era incredibile la sobrietà delle risposte. Credevo di trovarvi un uomo con lo stesso umorismo sarcastico e profondo di Lennon, e invece le risposte denotavano sembra una grande “normalità”. Mai una sbruffonata. Kubrick sembrava un tipo noioso. L’unica battuta presente era questa: “Per capire quello che volevo dire nei miei film, basta che legga le recensioni di certi critici”. Kubrick si era permesso di insultare i critici. Mi servì molto per il futuro.
Su “Arancia Meccanica” diceva soltanto: “E’ un film sulla libertà e sul suo valore. È un film che ci mette davanti alla malvagità di uno Stato che costringe i suoi cittadini ad essere buoni”. Mi deluse molto. Un uomo che sembrava così superiore, con quella barba affascinante, non poteva essere così “banale, ovvio e superficiale”. E poi, quando mai uno Stato ha fatto quello che hanno fatto ad Alex? Da quel momento cominciai a sottovalutare il maestro; per me, era solo un sempliciotto con un buon gusto per le belle musiche, e molto bravo nel dirigere gli attori. Niente di più, niente di meno.
Passò qualche anno. Un giorno mi trovai sotto mano un testo di storia della Chiesa Cattolica. Leggendo tutte le “conversioni forzate” alle quali gli ebrei e i gentili furono sottoposti in duemila anni, capii la profondità del messaggio del film e la profondità del banale Stanley. Era proprio così semplice. La Chiesa aveva fatto a tanta gente quello che nel film lo Stato fa ad Alex: costringerlo ad essere qualcuno che lui non vuole essere. La Chiesa ha fatto il “mea culpa” di questi errori solo pochi anni fa, e solo perché a guidarla c’era un santo – altrimenti saremmo ancora qui ad aspettare.
Il libro che lessi conteneva una frase che non dimenticherò mai, e che tutti noi dovremmo scolpirci in testa: “Anche il messaggio più alto e nobile non può mai essere imposto, ma solo proposto”. Quanti disastri e tragedie ci saremmo risparmiati se si fosse seguita questa ovvia massima.
Il capolavoro di Kubrick getta luce sul passato, e spero non un’ombra inquietante sul futuro. È un film profetico quando parla dell’esplosione attuale di sesso e di violenza. Spero tanto che non sia un film profetico quando parla del resto.
Ecco il succo del film, il massimo “film morale” che ho visto, insieme a “Non è un paese per vecchi”: uno Stato ha l’obbligo di mettere un criminale nella situazione di non nuocere (e questo spesso non lo fa), ma non può obbligare il criminale a redimersi. La bontà è una scelta; non esiste la bontà obbligata.
Concludo con una nota di colore per sorridere un pò, e che forse non tutti sanno. Lo sputo che riceve Alex durante il suo “periodo di redenzione” ha una storia singolare. Mcdowell disse: “A causa del perfezionismo di Stanley, mi sono dovuto beccare decine di sputi. Non voleva solo il film perfetto; voleva anche lo sputo perfetto”.
Ovviamente nell’Olimpo dei grandi film - che si ami o si odi Kubrick.
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