«Schifo, schifo, frustrazione e schifo. Idee schifose e basta mi vengono in mente! E se non sono idee schifose sono idee che parlano dello schifo». Questo sono io: non ho passato grandi settimane ultimamente. La lettura langue, lo studio figuriamoci, la vita sociale poca. Non vi sorprenderà sapere che non appena tentai di scrivere due righe su questo disco tutto ciò che ne venne fuori era persino più malsano di quegli incipit che uso di solito. Storie di alcolici scadenti, disagi giovanili, ricordi da dimenticare: questo tutto ciò che mi passa per la testa. Questo e la ricetta dei piselli alla casalinga (sceglieteli freschi e teneri, metteteli in casseruola con "Olio Carli", sale, pepe, aglio fresco e pancetta tagliuzzata, aggiungere acqua in cottura se occorre).
Tre giorni dopo mi sono accorto che ciò di cui avevo bisogno era proprio sotto I miei occhi. Erano proprio le mie lamentele ciò di cui avevo bisogno per parlare di questo disco. La vita sembra brutta? Il tuo lavoro sembra brutto? Tutti i tuoi dischi preferiti sono tristissimi e non puoi tirarti su ascoltandoli? Odi la gente che ride ed è allegra? Ecco Gold.
Gold, 1995, è il secondo disco degli Starflyer 59, gruppo californiano fondato da Jason Martin. Martin è un bravo ragazzo, ringrazia sempre Gesù Cristo "nostro signore e salvatore" in ogni suo disco e nella sua quasi ventennale carriera ha affrontato diversi generi rock. Gold è un album shoegaze. Chitarroso, solido, cristallino, di una lucidità sempre incredibile. Muraglie sonore di rumore nitide e controllate, una potenza rigorosa, un suono avvolgente, possente: il casino che piace a noi, ma sempre vivido e preciso. Stratificazioni di feedback che spazzano via sedimenti di schifo e disagio dai nostri pensieri. Questi Starflyer sarebbero massicci anche se facessero le cafonate generiche che ascoltiamo sempre, ma qui abbiamo di fronte un gruppo che ha trovato nel suo piccolo la propria nicchia di originalità all'interno di un genere così difficile. Siamo distanti dallo stereotipo shoegazico più tradizionale, quello "sono malinconico e ho trent'anni ma vorrei averne sedici e la vita è triste" alternato a "la vita è bella ma io sono malinconico lo stesso". Qui abbiamo dei boyscout del noise che ergono una piccola cattedrale dorata da contemplare silenziosamente, lasciandoci sommergere dal caos controllato delle chitarre.
Non so nemmeno se quest'ultima metafora abbia un senso, però ce la lascio lo stesso. Ah sì, I loro video anninovantissimi sono favolosi.
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