Prendete il vinile di Tago Mago dei Can e deturpatelo con un chiodo, bucatelo, graffiatelo, curvatelo. Ora, mettete il disco sul piatto e abbiate cura di farlo andare a 78 giri. Ecco il suono di "Infrantumi", quarto album degli Starfuckers, che pare proprio il suono in-frantumi, con i suoi ritmi aritmici, le sue pulsioni, i suoi silenzi, il suo audio-pulviscolo fatto di grumi, fruscii, fischi e rasoiate di chitarra algebrica ultrascordata.
La musica degli Starfuckers si autogenera, si autoalimenta, è la vittoria dell'alchimia sulla chimica e i musicisti si riducono a semplici filtri, a conduttori tra la terra e sua Eminenza cosmica "Il Suono". La loro è una dichiarata battaglia anti-ego, il loro è puro feticismo sonoro. E se ne escono con questo "Infrantumi", questo avant'roll che pare una tachicardia al rallentatore, con la voce codeinica di Manuele Giannini che sussurra: "io qua che cimitero suoni", mentre la batteria di Roberto Bertacchini rotola, inesorabile, verso il baratro, tra foschi sibili e buchi neri prodotti dal Korg ms-10 di Alessandro Bocci.
Toni cosmici per terapie mentali all'italiana. Teniamocelo stretto, questo "Infrantumi".
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