Terza uscita discografica di questo trio toscano che ha rappresentato, insieme ai sublimi Massimo Volume, il fronte più sperimentale del rock italiano della scorsa decade: "Sinistri" venne alla luce nel 1994, quasi in contemporanea con "Lungo i bordi", di cui rappresenta l'altra faccia della medaglia: se i Massimo Volume allestivano architetture coese, vibranti, drammatiche, cariche di tensione, pathos, inquietudine, sorrette da una solidità armonica incrollabile, gli Starfuckers (Manuele Giannini, Roberto Bertacchini, Alessandro Bocci) disintegravano impietosamente ogni forma consolidata da 30 anni di rock, riproponendone gli informi brandelli.
Lydia Lunch (una che di avant-rock se ne intende) definì "eternal soundcheck" la proposta degli Starfuckers: mi sento di quotarla, senza riserve.
Accordi secchi, striduli, atonali di chitarra; spruzzate di elettronica sporadica, memori forse di un certo Allen Ravenstine; parole in libera associazione, scandite con nitidezza e declamate senza enfasi; il tutto frastagliato da svianti campionamenti, inserzioni casuali, un utilizzo spregiudicato della tecnica del cut-up ("Tagli/ netti", così recitano le prime liriche del brano): questa è la disarmante introduzione di "Derivazione-Attesa". A un certo punto, si fa largo una sequenza di accordi slint-iani, una linea retta di synth, una ritmica timida a creare un'enigma destinato a rimanere tale, sino alla fine. Più che l'angoscia, a prevalere è la rassegnazione, l'attesa di una morte ineluttabile.
Il fantasma degli Slint ritorna nella sofisticata progressione di "Mutilati", tra fischi sintetizzati, accordi grigissimi, protuberanze elettroniche, batteria jazzata, basso ondeggiante e tuba borbottante.

In "Infinito", forse il miglior brano del disco, fa la sua comparsa, nelle fluttuanti nebbie sonore, un didjeridoo, strumento esotico oceanico. Tra droni sintetici mandati in eterni loop, l'impressionismo cosmico dei Tangerine Dream privato di tutto il suo incanto e corrotto da segnali radio provenienti dai relitti di una galassia perduta, da chitarre che franano tra scordature e increspature, scarabocchi incomprensibili, voci campionate chissà dove, bollicine di synth, feedback che paiono astri in dissoluzione, parole che evocano desolazione ("apparecchi rotti/ e mezzi rotti/ edifici vuoti/ polvere/ ombre/"), scorre la contemplazione di un universo allo stato terminale, forse già imploso su sé stesso e ridotto al puro stato vegetativo, contaminato da rifiuti sonici di ogni genere.

Si potrebbe quasi parlare di "action playing", parafrasando lo stile pittorico inventato da Jackson Pollock. Musica che rasenta il silenzio, che non ha una meta, un perché: uno schiaffo al concetto di musica come "insieme organizzato di suoni". E il silenzio, costeggiato in "Infinito", viene abbracciato da "Zentropia" e "Macrofonie", tuttalpiù scalfito dai colpi sordi, a vuoto, delle percussioni o da improvvisi ritagli sonori. Una musica sorprendentemente ricca e varia a livello armonico, forse perchè è proprio dal silenzio che la varietà cromatica dei suoni emerge in maniera più discernibile.

Dietro a tanta attitudine dissacratoria, si nasconde una profonda conoscenza dell'avanguardia novecentesca: nei 25 secondi di pura dissociazione che compongono "In Primo Luogo", gli Starfuckers si inchinano a John Cage, inventore della musica aleatoria.
L'unico sussulto del disco arriva con "Ordine Pubblico", inebriante, ipnotico, perverso math-rock, contrapuntato da un ossessivo handclapping, con un testo a sfondo sociale dagli ambigui risvolti ideologici. Con questo brano, gli Starfuckers annunciano il loro futuro negli anni 2000 (ribattezzati appunto come "Sinistri"), all'insegna di una peculiare ricerca sulle scansioni ritmiche. Ma prima di quello, gli Starfuckers proseguiranno nella loro gelida autopsia del rock, con il successivo e celebrato "Infrantumi".

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