Ascolto assiduamente, e suono pure, musica rock, documentandomi avidamente su di essa da tantissimi anni; la risultante, al presente, non è granché positiva dal punto di vista biologico ma lo è da quello della stabilità e saldezza delle opinioni via via cresciute in me.
Una delle quali mi fa inquadrare i Jefferson Airplane come un’autentica ciofeca di gruppo. Compresi “White Rabbit” e “Somebody to Love” che risultano essere storicamente i loro episodi più affermati in memoria collettiva. Paul Kantner il loro leader è stato insignificante compositore, cantante e chitarrista, con uno “stile” distintivo ma per ragioni tutte sbagliate: ragliava slogan da corteo più che melodie, concepiva cori malmessi e malfermi; non era capace da nessuna prospettiva, a parte l’impegno civile e pacifista che però non riguarda direttamente l’aspetto musicale.
Gli Airplane durarono pochi anni nei quali pubblicarono troppi dischi, poi mutarono la denominazione per qualche tempo in Jefferson Starship, facendo contemporaneamente partire una lenta deriva verso altri lidi musicali, sino a giungere ad un’autentica bipolarità finale: metà delle canzoni erano ancora di Kantner perciò nel consueto stile trasandato e disarmonico, il resto a cura dei nuovi arrivati i quali avevano niente da spartire col fricchettonismo sessantiano Airplane e invece molto con il pop rock, l’hard melodico, l’AOR.
Cacciato via una buona volta il tristo Kantner, la band perse con lui il diritto legale ad usare la denominazione Jefferson e quindi, giunti qui al 1985, oplà eccoti finalmente gli Starship e basta… A proposito di hoopla, in gergo yankee pare significhi anche cacca, quindi il titolo di quest’album è “Con la merda fino ai ginocchi”.
Questi Starship si affidano a un produttore/compositore/pianista australiano emigrato California chiamato Peter Wolf che prepara per loro la pappa fatta, ossia un certo numero di pop rock songs solo da cantare e suonicchiare (che al 70% ci pensa lui colle sue tastiere). Loro eseguono ed è notevole successo. L’ottima Grace Slick, l’unica faccia da Airplane ancora in formazione, smette per qualche tempo di bere a canna e la becchiamo qui splendida quarantacinquenne, variopinta anni ottanta, voce ancora intatta. Però è solo la seconda scelta come solista… il produttore le preferisce l’altro frontman, dal timbro sonorissimo e tenorile, Mr. Mickey Thomas. Lei abbozza e, per qualche anno, tira avanti cogli Starship, poi si stuferà e tornerà con Kantner per un progetto di rilancio a fine anni ’80 degli Airplane, infruttuoso dato che l’ideologia hippy non tira più, conta solo la musica e loro non ce l’hanno, né rock né pop.
Ce l’hanno invece la musica, gli Starship? Mah! Pop rock anni ottanta, allegria edonistica, quota dance obbligatoria e sostenuta, la rimanenza… ballate. Ecco allora, la ragione per cui mi tengo quest’album è la ballatona “Sara”, a quei tempi perfetta, ora semmai datata ma ancora perfetta. La canta, benissimo, Thomas accompagnato da un tripudio di pianetto elettrico campanelloso Yamaha Dx7, di morbide percussioni elettroniche, di giustezza ottantiana. Non c’è niente di male a fare roba ruffiana, basta farla bene. In questo disco i due terzi sono monnezza, il resto va bene, con dentro un capolavoro (di genere). Sempre meglio del Cuscino Surrealistico, o del Soffio contro l’Impero.
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