STATUS QUO: PILEDRIVER
Il primo lavoro che recensirò è uno dei pochi che hanno segnato la mia giovinezza. Appena quindicenne, timido e imbranato, le mie conoscenze musicali non andavano più in là del Festival di Sanremo. Ma qualcosa stava iniziando a ribollire dentro di me e alle mie fragilità e insicurezze si accompagnò presto un desiderio di ribellione. Il rock fu la naturale conseguenza di questa mia voglia di cambiamento tradotta in musica.
I primi a darmi un input in questo senso furono proprio loro, gli Status Quo, i quali non furono certo degli innovatori di stile né degli artisti dotati di chissà quali virtuosismi, eppure quando dicevano di picchiar duro sui loro strumenti, sapevano farlo eccome e all'epoca poche band erano capaci di tener loro il passo in quanto a energia. Con il passar del tempo avrei scoperto altri gruppi significativi e sicuramente più validi di loro tecnicamente, ma intanto la loro ritmica precisa e il loro shuffle boogie facevano già parte del mio DNA.
Per chi li conoscesse poco o niente, gli Status Quo furono un gruppo londinese che si formò nel 1962 a Londra come complessino scolastico, ed è ancor oggi in attività. Nel 1966 arrivarono a incidere una manciata di singoli con il nome di Spectres, due o tre dei quali oggi sarebbero da riscorpire. In seguito cambiarono nome in Status Quo e pubblicarono i primi due album di pop psichedelico tra il '68 e il '69. Nonostante i due dischi fossero interessanti, il grande successo non arrivò ma una loro canzone, "Pictures of Matchstick Men" si fece notare al pubblico e tra gli addetti ai lavori. A questi due dischi seguirono due validi dischi di sano rock/blues nel '70 e '71 ma anche questi non vendettero molto. Per attendere il successo a livello planetario i Quo avrebbero dovuto attendere infatti il 1979 anno in cui vide la luce "Whatever You Want".
"Piledriver", il loro quinto LP, fu pubblicato nel 1972 ed è la pietra miliare della mia rabbia giovanile. Cercato disperatamente a quel tempo per mesi e mesi nei negozi di dischi, già dalla copertina si evince che è il lavoro è un manifesto di quel che dovrebbe significare il rock. In tre aggettivi: diretto, ritmico, puro. Dove per puro intendo fatto con entusiasmo e con passione. Un rock duro e selvaggio da suonare a testa in giù..
Sono cresciuto con gli Status Quo, con questi quattro ragazzi che anche quando raggiunsero il successo rimasero sempre semplici e fedeli a se stessi senza mai montarsi la testa. E questo dura ancor oggi a distanza di tanti e tanti anni. Ancora oggi salgono sul palco con la stessa grinta e passione di allora, e il recente DVD live "Just Doing it" ne è una prova tangibile. La critica non li ha mai troppo amati è vero, definendo la loro musica troppo semplice e monotona (le solite tre corde...) ma loro incuranti hanno sempre seguito per la loro strada senza snaturare il loro sound e le loro radici rock 'n' roll. E fregandosene altamente delle critiche. Grande, grandissimo insegnamento. Sin dal primo giorno in cui dal vecchio e polveroso mangianastri a casa di un mio amico uscirono le note di uno dei loro live, capii che sarebbero entrati prepotentemente dentro di me. Avevo un altro amico che aveva tutto di loro In VHS e quando li vidi per la prima volta rimasi folgorato. In primo luogo dal video di "Paper Plane" (che è anche il singolo estratto da questo album) dove la loro selvaggia energia si esprime ai massimi livelli. Come sottolinea Wikipedia sono "poco meno di tre minuti di puro hard rock scandito dalla trascinante sezione ritmica di Coghlan e Lancaster e dalle robuste chitarre di Rossi e Parfitt, che esprimono un rock diretto e non pretenzioso, pieno di rabbia e senza compromessi."
E così comprai anch'io una Telecaster e li considerai i miei nuovi miti. Guardavo Rick e il mio barrè diventava sempre più preciso (con tanto di mignolo...) guardavo Francis e anche senza volerlo cominciai a imitarlo. Non avevo mai sentito allora (e sono pochi ancor oggi) un gruppo che sapesse intrecciare così bene i riff e i suoni delle due chitarre con tanta precisione e senso del ritmo. Come detto i loro live mi entusiasmavano. Dal vivo davano tutto, fino all'ultima goccia di sudore, i Quo si presentavano sul palco come ragazzi della porta accanto in jeans e maglietta. Non volevano attirare l'attenzione con look eccentrici né comportamenti da primedonne, volevano che fosse solo la loro musica a parlare. E anche se non dotati di una tecnica sopraffina (importante certo, ma non indispensabile) mi incantavo a vedere Rick batter duro accanto all'amplificatore e ad ascoltare gli assoli del talentuoso Rossi, che a mio avviso resta uno dei chitarristi più sottovalutati della storia del rock.
Ma "Piledriver" dicevamo. Il quinto album dei Quo riassume tutta l'energia del puro hard rock dell'epoca. Autoprodotto tra mille difficoltà, non suona neppure nitidissimo nè troppo ricercato negli arrangiamenti, ma comunica eccome. Il pezzo di apertura "Don't Waste My Time" già ti entra nella pelle soprattutto per l'orecchiabile fraseggio solista di Rossi, mentre Parfitt scandisce il ritmo blues/boogie con costanza e precisione. "Oh Baby" segue a ritmo vertiginoso in un lamento vocale sofferto che fa da contraltare al solido e forsennato hard rock delle due chitarre con la batteria di Coghlan sempre grintosa e precisa. Per Coghlan vale lo stesso discorso fatto per Rossi. E' semplcemente uno dei migliori batteristi del rock. Ascoltare per credere. Seguono il lento "A Year" una riflessione intimista sul tempo che se ne va che culmina con altro eccellente solo di Rossi, poi l'ottimo blues "Unspoken Words" cantato da Parfitt con voce malinconica e dimessa. Il lato B si apre con il potentissimo hard-rock di "Big Fat Mama" che scorre veloce ritmato e ruvido quano basta. E qui attenzione, perché i Quo dimostrano di avere anche una certa tecnica. Sono sicuro che molti gruppi rock successivi, anche famosi, si ispirarono anche un pò a loro. Chiude l' LP "Roadhouse Blues" cover del pezzo dei Doors che non sarà sicuramente bella quanto l'originale ma in quanto a carica ritmica e grinta è a mio avviso superiore alla versione di Morrison & Co.
Capisco anche chi storcerà il naso leggendo questa recensione sostenendo che la loro musica è piatta e banale. Ma per uno come me che ha sempre privilegiato ampiamente la sostanza alla forma, gli Status Quo rappresentavano e sono ancora oggi un'oasi incontaminata nel gigantesco universo rock.
Da suonare a tutto volume.
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