Alzi la mano chi se li ricorda.
Formatisi in Massachusetts nei primissimi anni Ottanta, e quando se no, gli Steel Assassin furono autori, durante il biennio '83-'85, di una manciata di demo fortemente legate all'heavy metal più classico, cosa del resto prevedibile considerando la data di pubblicazione. Dati per dispersi già a metà anni del decennio, il loro nome tornò a circolare, sempre e solo comunque in un contesto puramente underground, a fine anni Novanta, grazie alla raccolta "From The Vaults", che riproponeva il poco materiale prodotto fino a quel momento. Visto che una seconda possibilità la si da sempre a tutti, eccoli risorgere a fine anni Duemila, forti di una nuova formazione, per cercare di recuperare almeno in minima parte il tempo perduto.
Cosa assai rara in questi casi, il gruppo è praticamente quello originale, tranne che per il giovane cantante John Falzone, il terzo ad impugnare il microfono degli Assassini di Acciaio. Sostenuti dalla Steel Sentinel, i Nostri tornano quindi sulle scene nel 2007 con questo "War of the Eight Saints", lavoro che, a livello lirico, prende spunto dalla Guerra degli Otto Santi, conflitto che contrappose Firenze allo Stato Pontificio nel XIV secolo: per la serie, questi americani conoscono la Storia dell'Italia medievale meglio di noi. Musicalmente, le coordinate del gruppo si muovono su un power di stampo americano molto valido, con una solida sezione ritmica ed un bel lavoro della chitarre, il tutto valorizzato da un cantante che fa la differenza. Power a stelle e strisce, si è detto, quindi siamo più dalle parti di Jag Panzer ed Iced Earth che non di Helloween e Rhapsody; viene francamente da chiedersi come mai un (sotto)genere come questo non sia mai riuscito ad eguagliare il successo commerciale del cugino europeo, visto il gran numero di gruppi validi, ma tant'è. L'album si apre con "Hawkwood", brano dal ritmo trascinante, per proseguire subito con "Curse of the Black Prince" e "Hill of Crosses", uno dei pezzi migliori del disco, che di volta in volta riesce ad alternare passaggi più tirati ad altri maggiormente melodici e di ampio respiro. Idealmente si potrebbe dividere l'album in due parti distinte: se la prima, che si conclude con "Merchants of Force" e "Bloodlust Quest", con quest'ultima caratterizzata da un bel cantato femminile, lascia positivamente stupiti per l'ottima qualità dei brani, anche se di fatto il gruppo si muove su territori piuttosto canonici, la seconda invece sembra arrancare maggiormente, con un paio di pezzi, "Tartarus" e "Metalfire" che, risultando piuttosto anonimi e ripetitivi, smorzano la tensione creatasi fino a quel momento.
Il gran finale, comunque, affidato al lungo brano omonimo, mostra dei musicisti in grande spolvero, capaci di concludere degnamente un ottimo album, forse un po' troppo lungo e con alcuni passaggi non completamente a fuoco, ma ennesima dimostrazione di come, con molti mostri sacri ormai in affanno, almeno in studio, l'underground continui ad essere una vera manna per gli appassionati, con gruppi validi che potrebbero tranquillamente rivaleggiare con i big del genere ma, per mille motivi, sono destinati a rimanere nell'ombra. "War of the Eight Saints" ha sicuramente portato fortuna agli americani, visto da quel momento hanno avviato un'attività discografica costante, continuata con il disco di rifacimenti "In Hellfire Forged" e poi con il secondo album "WWII: Metal of Honour". Come si suol dire, bentornati e meglio tardi che mai.
"War of the Eight Saints":
1. Hawkwood
2. Curse of the Black Prince
3. Hill of Crosses
4. Sword in the Stone
5. Merchants of Force
6. Bloodlust Quest
7. Tartarus
8. Metalfire
9. Victory
10. Barabbas
11. War of the Eight Saints
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