È sabato mattina. Sono solo e in vena di bilanci. "Sorseggio" dal classico bicchiere che mi appare mezzo vuoto, guardando a ciò che ho realizzato finora come se avessi un cannocchiale rovesciato. Succede a volte, in particolare quando si interrompe la routine quotidiana per qualche imprevisto motivo: tutte le malinconie e i negativi pensieri sembrano fare a gara per uscire, accalcandosi verso la stretta botola dell'anima. È il momento, non essendoci familiari da abbracciare o uno dei pochissimi veri amici con cui condividere questi "momentary lapse of the mood", del "Doctor Wu", alle cui efficaci cure, alternative e poco ortodosse, mi sono già affidato in simili frangenti.

Il doctor Wu non è, come qualche cinefilo potrebbe pensare, un collega del doctor Yang, il mago-terapeuta che nel film "Alice" di Woody Allen precipita il protagonista nel suo mondo onirico, bensì il misterioso personaggio che dà il titolo al brano più rappresentativo di un album del '75 degli Steely Dan, "Katy Lied".

Are you with me, Doctor Wu / Are you really just a shadow / Of the man that I once knew / She is lovely yes she's sly / And you're an ordinary guy / Has she finally got to you / Can you hear me Doctor..."
come si sarà intuito da questi accenni, di cura omeopatica si tratta. Perché questo piccolo portento musicale, una vera summa in meno di quattro minuti di quell'inimitabile miscela di generi creata dalla ditta Becker-Fagen, stilla saudade da tutti i pori; con il sax alto di Phil Wood a suggellare questo crepuscolo dei sentimenti. Eh, sì. Ho imparato che il principale errore da evitare quando sei in balìa dello spleen è cercare impossibili evasioni in quello che Pascal chiama il "divertissement". Allora, meglio affidarsi al sostenuto blues elettrico di "Black Friday", ironico canto sull'inesorabilità dei "giorni neri"; oppure agli incerti passi delle "scadenti scarpe di ginnastica" che non sanno bene dove portarti, ma che finisci per assecondare senza esitazioni ( "Bad Sneakers and Piň a Colada / My Friend / Stompin' on the avenue / By Radio City with a / transistor and a large / sum of money to spend..."), soprattutto se a guidarle sono l'assolo di chitarra del "pifferaio magico" Walter Becker e gli impasti vocali di Fagen e Mike McDonald (chi ricorda The Doobie Brothers?).

In ogni caso, dovunque si vada a pescare nei soli 35 minuti di "Katy Lied", tanto densi ed ispirati da sembrare il doppio, si pesca bene e il conforto è assicurato. Si può fare un percorso alternativo nella "Grande Mela", seguendo gli ultimi "giri" di un "loser" che ha gettato la spugna ("Daddy Don't Live In That New York City No More"), un R&B di classe sopraffina; oppure perdersi nelle visioni misteriose e quasi iniziatiche, che sembrano tratte da un racconto di Borges, di "Your Gold Teeth II" ("...Throw out your gold teeth / And see how they roll / the answer they reveal / Life is unreal), un'ariosa westcoastmusic alla CSN resa affascinante ed esotica dalla chitarra jazz di Larry Carlton e dai sapienti inserti pianistici del buon Fagen. Ciò che desta meraviglia ogniqualvolta ti rivolgi fiducioso alla taumaturgica musica dei nostri è il suo essere senza tempo, la sua "classicità" dovuta al fatto di essere del tutto aliena dalle mode del momento storico in cui è stata composta. Una formula quella di Fagen/Becker e Katz, il fosforico produttore, che ha come punti cardinali la ricerca di un specie di esperanto tra i "linguaggi" dell'american popular music (blues, jazz, r&b, folk...), l'invidiabile perizia tecnica mai senza pathos, il rigore ed una certa qual pignoleria, uno sguardo da "freaks" sullo show-biz che gli ha consentito di produrre secondi i propri ritmi, oltre all'ironia abrasiva che non poche volte sfocia nel "politicamente scorretto". Tra tanti ciarlatani ed improvvisati "terapeuti", rivolgersi Doctor Wu credo valga davvero la pena. Per chi non lo conoscesse, posso dargli il numero. Ma mi raccomando: don't loose that number!

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