Segnalo oggi ai cortesi lettori di Debaser – cui mi ripresento porgendo i più cordiali saluti - un libro sottovalutato al momento della sua uscita, ma a modesto parere del sottoscritto assai utile per comprendere alcune delle fondamentali dinamiche del nostro tempo, come pure la base ideologica degli interventi normativi che, nel corso degli ultimi anni, hanno in qualche modo inciso nella vita di ognuno di noi e sul rapporto fra economia e società nell’Italia contemporanea.

Si tratta di un libro, come ogni scritto in tema, ci narra di quanto accaduto ieri per farci riflettere su quanto sta accadendo oggi e quanto accadrà in futuro.

Nel nostro caso, quanto accaduto ieri sono le esperienze di Governo sperimentate negli Stati Uniti ed in Inghilterra nella prima parte degli anni ’80, per opera di due leader politici che non sarebbero del tutto spiaciuti al Plutarco de “Le vite parallele”: mi riferisco, come chiaro, a Ronald Reagan e a Margareth Tatcher, qui colti nella loro viva voce ed in una raccolta di discorsi pubblici di rara suggestione ed efficacia, con una bella prefazione di Romano Prodi.

Ai giovani utenti del sito, di regola poco avvezzi allo studio ed alla riflessione storica, i due nomi potranno dire poco o nulla, o essere tutt’al più delle voci da compulsare su Wikipedia o altro motore di ricerca di analogo tenore.

Diversamente, si tratta di due grandi innovatori che, con accenti diversi, seppero rivisitare la gestione della cosa pubblica nei rispettivi Paesi, partendo dal rilievo – per nulla scontato in quegli anni – che la crescita economica implicasse, nell’ordine: 1) riduzione degli apparati di Governo, a favore del libero spiegarsi delle forze economiche, al punto che, secondo una notissima frase di Reagan, lo Stato non era la “soluzione” ma “il problema”; 2) riduzione del potere di ricatto dei sindacati nei confronti delle classi imprenditoriali, posto che gli elefantiaci apparati sindacali erano visti come ostacolo allo sviluppo ed alla crescita delle forza lavoro, sottovalutando il fatto che di tutela dei diritti sociali si può fondatamente ragionare solo quando il gettito fiscale lo consente, ossia quando ci sono risorse sufficienti a soddisfare le pretese dei cittadini; 3) liberalizzazione economica mediante la promozione del mercato concorrenziale in ogni settore di importanza strategia, eliminando laddove possibile l’intervento pubblico nell’economia, ossia forme di sussidio, sostegno alle imprese, regolamentazioni volte a proteggere i mercati.

Si tratta, ovviamente, di tre aspetti fittamente intrecciati, posto che la felice sintesi “meno Stato, più mercato” implica null’altro che l’eliminazione degli apparati pubblici come centri di semplice gestione del potere, di autoreferenziale rappresentazione di interessi, sovente di corruzione pubblica e privata, e non ultimo di inutile spesa, a danno di quei contribuenti che – anziché vedere male investito il danaro ceduto allo Stato in forza del gettito fiscale – sarebbero pienamente in grado di provvedere a sé stessi investendo direttamente i propri risparmi su forme di Welfare privato (fondi pensione, assicurazioni e simili).

Vi confesso che, in passato, ho un po’ giocato con i miei cortesi e meno intelligenti lettori occultando nei miei saggi il significato autentico del mio pensiero, trovando più divertenti le fuorvianti interpretazioni, talvolta comiche, dell’utenza media, che guardava più al mio dito che alla luna che, con pazienza e tenacia degne d’altre intraprese, mostravo su queste pur belle pagine.

Nel Debaser del tardo 2014 non è forse più tempo per provocare, ma è ora di riflettere sul serio, ed esplicitamente, sul senso dei libri che segnalo: in questo saggio, è chiaro che si parla di Reagan e Tatcher per alludere alle politiche pubbliche dell’oggi, ed in particolare a quelle dei Governi Monti, Letta e non ultimo Renzi, che rivisitano l’ideologia reaganiana e tatcheriana in maniera più scoperta e consapevole di quanto non avvenne durante i Governi Berlusconi, le cui note anomalie impedirono al Cavaliere di attuare con piena coscienza disegni riformatori auspicati da alcuni, avversati dai più.

La cosa che più mi colpisce, da cittadino prima ancora che da saggista, è come nell’Italia berlusconiana i nomi di Reagan e Tatcher fossero quasi colti come spauracchi da una sinistra che si riallacciava – quando non a trite e sconfitte ideologie secondo o terzomondiste – all’annacquato vinello della Big Society blairiana, mentre nell’Italia di oggi le medesime ricette, rivedute e corrette con attenti interventi di cosmesi linguistica (job’s act, Salva Italia, Sblocca Italia), vengono accolte dai più con rassegnazione.

Chi contesta, dall’altro lato – ed alludo soprattutto ai sindacati, come pure alla sinistra terzomondista convinta che gli aromi di sandalo e le collanine etniche vendute ai varii festival aprano la mente ad un nuovo modo di vedere le cose – rammenta sempre più spesso quei soldati giapponesi che credevano di combattere ancora la II guerra mondiale, quand’essa era finita da decenni, con lo sgancio di una vera e propria atomica (che per i sindacati è, fuor di metafora, la fine dell’economia post-fordista, con il connesso avvento della globalizzazione).

Chi contesta, oggi, dovrebbe chiedersi piuttosto: posso ancora permettermi un Welfare pubblico, facendolo pesare opportunisticamente sui miei figli o nipoti? Posso illudermi che il Welfare pubblico funzioni in uno Stato ed in una società, come quella italiana, in cui il comportamento dei free riders (o portoghesi, ossia evasori fiscali) determina già in partenza delle enormi sperequazioni fra chi partecipa alla spesa e chi ne beneficia? Posso permettermi di rivendicare un certo livello di tutela del lavoro se, a poche centinaia di chilometri da casa, esistono altri operai – altri affamati – che svolgono la mia stessa attività ad un decimo del mio costo del lavoro? Posso sostenere il funzionamento dello Stato senza pormi il problema della competitività delle sue imprese in ambito globale?

E’ chiaro che non si tratta di risposte semplici ed agevoli, come è chiaro che la storia narrata – e restituita - in questo libro aiuta a lumeggiare le nostre prospettive: Reagan e Tatcher seppero far crescere i propri Paesi al costo di una maggiore diseguaglianza sociale, sulla scia di un certo darwinismo economico che non solo premia il più forte, ma che a certe condizioni favorisce l’economia finanziaria su quella reale, il terziario avanzato (servizi finanziari) sul primario e sul secondario.

Certo, sappiamo tutti a cosa abbiano portato quelle politiche.

Ma sappiamo anche a cosa abbia concretamente portato un secolo di comunismo nell’est europeo, come pure siamo consapevoli dell’impraticabilità di utopie anarchiche.

Carico i commenti...  con calma