Il ragazzo è ecclettico: collaborazioni che spaziano da Irene Grandi a Gianmaria Testa. E soprattutto ha classe (e che classe!) da vendere: garantisce nientemeno che Enrico Rava. Classe 1972, talentuoso ed ironico, Stefano Bollani è di certo una delle più belle promesse (mantenute) della musica italiana. E in questi 70 minuti o poco più di "Les fleures bleues", Stefano ce ne dà ben la prova. Dodici brani ed una traccia multimediale, la maggior parte dei quali ispirati dall'omonimo romanzo di Raymond Queneau, che incantano e purificano, ora muovendosi nel territorio dell'ironia, ora in quello del disincanto, ora in quello della nostalgia.

L'inizio, con il piano solo di "L'histoire qui avance", è al fulmicotone. Dopo una sferza di dissonanze che esprimono una incredibile "vis vitalis", Stefano si lancia in un turbinante "moto perpetuo" che si risolve in un crescendo esagerato di energia. Un biglietto da visita che è una garanzia per i pezzi successivi. Si passa dunque a "Rever et reveler", dove Stefano ci introduce l'ottima equipe "ritmica" che lo spalleggia in alcune tracce del disco: Scott Colley al basso e l'ottimo drummer Clarence Penn (che nella delicatezza e nel tocco ricorda non poco il grande Paul Motian). Il brano è stupefacente, leggero e delicato come una farfalla che posa le ali delle sua musica in ritmi leggeri ed atmosfere esotiche e latineggianti. Dopo la meditativa "Cidrolin", l'ironia torna a farla da padrone ne "Il duca", un gioiellino, un brano che trasmette buonumore come il sorriso della ragazza che ti piace.

Ma è il brano successivo a rilevarci ancora una volta come l'inventiva e l'arte del nostro Stefano possa essere così sorprendentemente duttile e costante. Uno "standard" come "Se non avessi più te" viene reinventato in maniera così appassionata ed incantevole da portare alla mente il Keith Jarrett di "Mona Lisa" o addirittura il Bill Evans di "When I fall in love". Dopo un incipit in acque tranquille, nella traccia successiva, "L'arca" prende il largo fra i flutti di una musica che reca il suo tributo anche al pianismo prorompente di Chick Corea. Il blues di "Bar Biturico" e la ritmica sfrenata e potente di "Chippie" di Ornette Coleman introducono la nuova sorpresa del disco: Stefano si scopre cantante. E in "Si Tu T'Imagines" ci prende per mano e ci accompagna in un clima da favola, con quegli spruzzi di pianoforte tenero come un carillon, il che, diciamocelo... fa davvero "parisienne".

Onore al merito anche al bassista Scott Colley che in "Dans Mon Ile" ci ricorda di aver avuto, fra i suoi maestri, nientepopodimeno che il buon Charlie Haden. Il brano si apre con un dialogo piano-contrabbasso davvero tenero e appassionato, dove Scott ci dimostra di essere all'altezza poetica e musicale di cotanto maestro. Dopo il tributo di "It could happen to Queneau", il disco si chiude con un secondo "standard": "Un giorno dopo l'altro", successo intramontabile del grande Luigi Tenco. Basta l'incipit, con quelle poche battute di un pianoforte disincantato e malinconico, per porre la migliore ciliegina (dolceamara) su questa ghiottissima torta musicale.

Che altro aggiungere? Chapeau, Stefano.

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