"Quanto 'a stanno a fa' lunga, aoh! Ma 'n finale 'sti massoni chi so'?"
"Ladri come noi, solo che c'hanno er cappuccio!"
Anni '70: gli attentati, il terrorismo rosso e nero, il compromesso storico. La banda della Magliana. Dopo il film del 2005 diretto da Michele Placido è Stefano Sollima a riportare, questa volta sul piccolo schermo, le vicende della banda criminale più famosa di Roma. Ispirandosi ancora, come la versione cinematografica, all'omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo. Per Sky si tratta, dopo Quo Vadis, Baby?, della seconda fiction autoprodotta: un totale di due stagioni, cinquantacinque episodi e parecchio successo. Decisamente più della pellicola, tanto da incentivare Sky a riproporre la stessa formula con Gomorra. Incensata dalla critica come nuova grande fiction nostrana dopo anni di stenti e miserie, Romanzo Criminale è la "classica" epopea gangster – si fa per dire – à la Scarface, con citazioni prese qua e là da Il Padrino e altre icone dei mafia movies. Quella reinterpretata da Sollima, però, è una saga di rise and fall tipicamente italiana, che con le vicende (reali) di quegli anni convulsi si interseca e si intreccia indissolubilmente. E che la vera banda della Magliana abbia avuto a che fare in qualche modo con il sequestro Moro, la strage di Bologna e lo scandalo P2 – tra i tanti, forse gli eventi più significativi degli anni a cavallo tra '70 e '80 – non è invenzione né di De Cataldo né del regista laziale: è quasi storia, per quanto manchi da sempre ogni certezza rispetto a fatti così fumosi e avvolti tuttora da un inquietante alone di mistero. Tutto tipicamente italiano, appunto.
Il Libanese, il Bufalo e il Dandi sono criminali da quattro soldi, poco più che ladruncoli e spacciatori di quartiere. Ma quando il primo, animato da sete di rivalsa verso il vecchio boss (un buonissimo Marco Giallini), decide di allearsi con altri esponenti della malavita locale, la nuova banda così formata conquista Roma e arriva fino ai fastosi salotti della politica più o meno occulta. Cosicché il Libanese e i suoi trovano sulla loro strada servizi segreti, massoni piduisti, neofascisti, mafiosi, camorristi. L'obiettivo è uno solo: diventare i nuovi re di Roma. Stare al di sopra di tutti, a testa alta, dettare legge senza dipendere da nessun altro. E non è così semplice, perché si sa che "Roma nun vole capi".
Sollima si muove con sapienza alla macchina da presa, offrendo una regia ben equilibrata alla quale la convincente colonna sonora (da Atmosphere dei Joy Division a Franco Battiato passando per Shout dei Tears for Fears) dà ulteriore risalto. Promossa a pieni voti la fotografia anche per la scelta di impiegare filtri e colori piacevolmente vintage. Ma il vero punto forte della serie è la prova degli attori: oltre al già citato Marco Giallini, si segnala con lode Vinicio Marchioni nei panni del Freddo, il braccio destro. Uomo tutto d'un pezzo, quasi idealista nei confronti della banda, co-protagonista con un personale codice etico. Quello che agisce più per cuore che per interesse. Menzione d'onore per Francesco Montanari, il Libanese, che da solo vale il prezzo del biglietto. Brutto, cattivo, rozzo e dalle fattezze semi-animalesche. Un grugno stampato sul volto, l'espressione sempre corrucciata, minacciosa: alza la voce, comanda, giudica e condanna. In fondo, però, vuole soltanto prendersi cura di sua madre. Ottime anche le performance di Marco Bocci, che qui interpreta il tenace commissario Scialoja, e Daniela Virgilio, la prostituta Patrizia. Il tutto rigorosamente con un forte e colorito accento romanesco nei dialoghi.
Si tratta senza dubbio, finalmente, di una grande fiction italiana. Il che lascia ben sperare per l'immediato futuro, dato che lo stesso Gomorra rappresenta forse un ulteriore passo avanti, soprattutto dal punto di vista della fotografia. E così al termine delle due stagioni di Romanzo Criminale ci viene presentata anche la morale, dal sapore leggermente populista: i cattivi, quelli veri, non stanno in strada a spararsi e a uccidersi. Indossano occhiali eleganti e siedono su comode poltrone in uffici ricolmi di archivi, documenti e scartoffie. Solo che noi spettatori non veniamo mai a sapere chi siano davvero, per quale motivo agiscano, per conto di chi lavorino. O forse sì. Il magistrato Borgia, che la banda cerca di incastrarla, sentenzia in uno degli ultimi episodi: "Questa è una guerra che non si può vincere". Vuoi vedere che il confine tra finzione e realtà, nel caso di Romanzo Criminale, è davvero sottile? Piccolo spoiler: la morale c'è, il lieto fine (ovviamente) no. Proprio no.
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