Uscito in sordina l'anno scorso ed introdotto da una copertina a parere di chi scrive semplicemente meravigliosa, un titolo irresistibile ("Harmonies For The Haunted") e una canzone ("The Diver") tra le migliori esperienze emotive dell'ultimo lustro, il debutto dei Stellastarr* (New York City, U.S.A.) è un miscuglio di punk, new wave, art-rock, ballate epiche e romantico pessimismo.

Tipi non proprio da coolness: il batterista Arthur Kremer sale sul palco mezzo nudo con un'enorme stella disegnata sul petto e un fisico che ricorda vagamente Woody Allen da giovane; il (particolarmente eclettico) cantante Shawn Christensen si presenta ai programmi di Mtv con la maglia raffigurante i peggiori tra i miserabili eroi (e miliardari) di Hollywood, e di un po' tutto questo mondo. Personaggi usciti da uno di quei fumetti mezzo gotici mezzo poetici sotto quei portici di Torino dove non passa mai nessuno.

20% The Cure (quella chitarra lanciata di "On My Own"), 20% Joy Division (la batteria incalzante di "When I disappear", con la voce che sembra sputare nel microfono), 20% The Smiths (l'elegante pop di "Love And Longing", con il dialogo surreale tra assolo e voce in interminabile lamento), 40% me stesso, con la chiusura affidata alla gemma oscura di "Island Lost At Sea", perchè quando perdiamo qualcosa è sempre poco prima di accorgerci che era già finita da un pezzo.

Inspiegabile come funzionino oggi le regole dei grandi mafiosi della musica, le ragioni delle loro campagne promozionali, dei loro denari, dei loro gusti, e dei gusti di milioni di pecore che pure ci credono a tutta questi enorme buffonata che è la musica ai nostri giorni.

Dopo il cupo debutto dei "I Love You But I have Chosen Darkness", un altro disco profondamente dark e malinconico gira con preoccupante frequenza tra le mie parti.

Prestategli un orecchio.

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