Dal mio blog

Potrebbe essere Florence la sorpresa positiva di questa infornata natalizia. Riuscire a far risultare piacevole, anzi delizioso, un film con protagonista una donna che canta in modo stonato non è cosa da poco. Ma Stephen Frears fa valere tutta la sua esperienza e firma un’opera profondamente equilibrata, solidissima senza doverlo strombazzare; una struttura snella, molto scorrevole, ma che sa accogliere numerosi nuclei tematici, senza grossi spiegoni, senza enfasi. È la forza della vicenda di Florence Foster Jenkins in primo luogo a dare ricchezza tematica: ma Frears è abilissimo nello snocciolare gli spunti di riflessione senza appesantire la narrazione, senza fiaccarne il ritmo brioso. Il pubblico meno attento può tranquillamente godersi il film per la sua spiccata componente comica, oppure ancora per la ricchezza interpretativa dei tre bravissimi attori principali: Meryl Streep e Hugh Grant straordinari, ma anche un Simon Helberg (Wolowitz) perfetto per la parte e capace di variare bene sul tema.

E allora mentre la vicenda scorre, ben sgranata e senza inutili ridondanze, ci facciamo un’idea su figure complesse come il signor Bayfield e la stessa Florence. Il primo contempera ipocrisia, opportunismo, meschinità, a valori più alti e sinceri; Florence viene posizionata al confine tra frivolezza, fragilità e invece una forza d’animo e una passione per la musica, oltre che generosità, che ne riscattano parzialmente i limiti. Il tratto del regista è delicato, privo di sottolineature grossolane; Frears lascia che siano i personaggi a definirsi, attraverso le loro azioni e le loro parole. Non ha fretta di dare un giudizio alle persone; ma inesorabilmente alla fine un giudizio arriva. E non è di certo buonista.

Questo stile narrativo maturo si evidenzia anche nel modo in cui vengono date informazioni sui personaggi e le loro vite: un poco alla volta, con grande naturalezza, senza la frenesia di far capire allo spettatore che quella è una menzogna, oppure di spiegare perché questo o quello. Pian piano tutti gli spazi vengono riempiti. L’assenza di strappi ed enfasi permette al regista di cesellare figure umane decisamente complesse.

Ma sono i temi, spesso sottintesi, a dare una marcia in più: la vicenda è quasi esemplare per fare un discorso sull’arte, sulla recezione del pubblico e su quella della critica. Sarebbe facile assumere una posizione conciliante, che tende a giustificare le azioni di Florence. Fortunatamente questo non viene fatto, la protagonista stessa ne dà una lettura significativa, in chiusura: «Forse non avrò cantato bene, ma ho cantato». Non è quindi una questione di giusto o sbagliato, ma semplicemente il concretarsi di una volontà forte; le conseguenze poi sono disparate. Dai soldati che ne apprezzano il lato comico, ai critici asserviti che ne evidenziano aspetti secondari, ai critici invece irriducibili che infieriscono esageratamente, alle amiche di Florence emozionate, al marito sinceramente attento a fare in modo che l’esperienza sia felice per l’anziana donna, fino al pianista McMoon, solo apparentemente solidale con la mediocre cantante, in verità arrivista e materialista.

Splendide le interpretazioni dei due attori protagonisti, capaci di rendere bene le contraddizioni personali dei personaggi; l’amore profondo per la musica e la parziale vacuità in Florence, la benevolenza sincera e l’opportunismo irrefrenabile in Bayfield. Questi elementi coesistono mirabilmente grazie alla bravura degli attori, ma anche ad una sceneggiatura impeccabile, scritta con grande finezza e capace di far arrivare tutto allo spettatore senza enfatizzare nulla. E poi, la delicata colonna sonora di Alexandre Desplat, in perfetta contrapposizione rispetto ai vocalizzi eccessivi della donna.

7/10

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