Forse c'è solo un paese al mondo dove perfino il più irriducibile degli antimonarchici -che siano però dotati di buonsenso, quelli stupidi non fanno testo- lascerebbe in pace i reali, se non addirittura li rispetterebbe. Questo paese è l'Inghilterra. Spiegarne il motivo è affare di storici più ferrati di me in storia inglese, ma per chi volesse "sentire" il rispetto che la monarchia inglese esige, senza chiederlo, dai suoi sudditi e che i suoi sudditi naturalmente hanno verso di essa, questo film è la via più breve ed emozionante. Probabilmente non staremmo qui a parlarne se ad interpretare la regina non fosse stata Helen Mirren, in una prova d'attrice memorabile. Solitamente basta un'occhiata a svelare, letteralmente, il trucco quando vediamo un attore (mediocre) cimentarsi nella mimesi di un personaggio storico riuscendo, nove volte su dieci, soltanto a ridicolizzarlo. In questo caso la Mirren è favolosa, il make-up pare averlo assorbito somaticamente, e si cala nel personaggio con completa comodità, dandogli un tale spessore da farlo apparire più vero del vero. Da copione il ruolo affidatole richiedeva la capacità di condensare in un film di un'ora e mezza -che non è interamente dedicato alla regina, ma alla famiglia reale in generale e alla famiglia Blair più in particolare- l'evolversi dello stato d'animo di Elisabetta II nella settimana della morte di Diana. Essendo poi la regina una donna molto riservata e apparentemente fredda e distante, questo cambiamento doveva avvenire nei limiti stretti delll'indole stessa della sovrana. Tutto ciò va naturalmente a maggior gloria della Mirren, che appunto è riuscita a comunicare l'emozione che di volta in volta agitava il cuore della regina, da sotto quella maschera di cera insensibile che la caratterizza da sempre. Attraverso gli occhi. Basta guardare lo sguardo della regina all'inizio del film, quando spavalda riceve il nuovo primo ministro Tony Blair a palazzo reale, e confrontarlo con quello che ha nell'ultima scena, quando incontra Blair alla fine dell'estate di fuoco del 1997, per capire quanto Helen Mirren abbia strameritato la Coppa Volpi (prima) e l'Oscar (poi).
Peter Morgan è l'autore della sceneggiatura e non ha nascosto di averla scritta pensando un pò male della regina. Ma il film è tutto a favore di Elisabetta II, a meno che io non abbia voluto afferrare la presunta ambiguità della regia o la satira nascosta fra le righe della sceneggiatura. Oggi i critici fanno a gara a chi fa l'analisi più originale e sorprendente (analisi che spesso travalica le intenzioni dello stesso regista) , quando sarebbe meglio che a tanta intelligenza sostituissero un briciolo di sensibilità. Il nome di Stephen Frears potrebbe sviare lo spettatore che abbia visto qualche suo film e conosca grosso modo le sue idee (sembra impossibile che sia lo stesso regista di "Sammy e Rosie vanno a letto"). Ma invece, come ho già detto all'inizio, non c'è nulla da stupirsi che Frears abbia realizzato un ritratto della propria regina per nulla caustico come si poteva credere, semmai leggermente satirico, ma ad essere bersagliati sono i personaggi di contorno: Cherie, un'antimonarchica ottusa e stupidina, il perfido addetto stampa di Blair, il principe Filippo, il timido e influenzabile Carlo, la folla (personaggio vero e proprio) che vuole solo "glamour e lacrime". Ma la regina mai. Neanche nelle occasioni più ghiotte come quando la telecamera la segue nella sua intimità familiare. Eppure qualche critico ha subodorato il vero intendimento di Frears, abilmente nascosto sotto metafora e dietro spessi tendaggi di apparenze. Perché? Perché complicarsi l'esistenza per scoprire (o meglio inventarsi) sentieri mai percorsi. Per guadagnarsi la patente di arguzia e viverci di rendita? L'unica metafora che c'è, è semplice e significativa. Nei giorni successivi alla morte di Diana, assillata da Tony Blair perché faccia ritorno da Balmoral, dove si trova in vacanza, a Londra e si unisca al cordoglio diffuso per la morte della "principessa del popolo", Elisabetta II resta bloccata col fuoristrada nel mezzo di un guado, da sola. Mentre aspetta i soccorsi, scoppia in lacrime. E' la prima volta che resta sola e forse ricorda le parole di Tony Blair: un suddito su quattro, in quei giorni, vuole l'abolizione della monarchia.
Non è semplice orgoglio ferito, né tantomeno la compassione per Diana, né ancora il dispiacere per i nipoti. Sono secoli di storia e di responsabilità che pesano sulle sue spalle, è il dramma personale della perdita del padre Giorgio VI, ucciso da un cancro dopo aver deciso di non abbandonare Londra nei giorni dei bombardamenti (era Freud a dire che il cancro è l'ultimo rifugio della nevrosi); il timore di non essere più all'altezza del suo ruolo in tempi cambiati. La folla non bada a queste sfumature, vuole una regina che interpreti il suo umore e magari lo assecondi. Cosa che i giornali (non più solo quelli scandalistici) fanno con consumata esperienza. Abbiamo un esempio a portata di mano. Provate ad aprire la pagina internet del Corriere della Sera e vedrete che la prima notizia riguarda gli ulteriori sviluppi dell'indagine sul delitto di Pavia. Aprite poi la pagina internet del Times e vedrete campeggiare la foto della silenziosa e magnifica protesta popolare in Birmania. Chiusa parentesi.
La regina scoppia in lacrime, quando un cervo imperiale apparso sulla collina la distrae. E' incantata da quell'animale braccato dai cacciatori e nondimeno fiero e olimpico. Quando sente i latrati dei cani lo spaventa per farlo fuggire, si asciuga le lacrime e si ricompone. Chiara la metafora, no?
"The Queen" è un bellissimo film sui nostri tempi, su una donna a cui è toccato in sorte, troppo presto, un compito ingrato e sulla sua famiglia, matriarcale, popolata di stravagati (per usare un eufemismo), non ultima quella ragazza con due occhi da cerbiatto che esibiva troppo spesso "glamour e lacrime". E non stupiamoci poi se la regina si lascia trasportare solo dall'affetto per i suoi amabili volpini (Dogs!, li chiama con un affetto che non riserva ad alcuno dei suoi familiari e la maschera di serietà regale le si rompe per far spazio ad un'espressione di gioia), perchè il Principe insegna: "Più conosco gli uomini, più amo le bestie".
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