Stephen King non è solo uno scrittore di storie horror. Stephen King è, soprattutto, il miglior narratore vivente di linee d'ombra.
Le linee d'ombra sono quei passaggi impalpabili ma decisivi che separano l'infanzia dall'adolescenza e l'adolescenza dall'età adulta.

"Cuori in Atlantide", romanzo a episodi del 1999, ne è uno dei migliori esempi, insieme a "It" e "Stagioni diverse".

Il libro racconta la vicenda di tre bambini della cittadina di Harwich, Bobby Garfield, Carol Gerber e Sully-John Sullivan, figli della provincia americana e stretti parenti narrativi dei magnifici perdenti di Derry. La storia comincia nel 1960 e va a intrecciarsi con i principali eventi sociali dell'epoca, in particolare con la guerra in Vietnam, il movimento hippie e la contestazione studentesca.

Qui King si mette completamente in gioco, non usa effetti speciali nè il suo ampio arsenale di paure ancestrali. L'orrore c'è, ma sta tutto nelle immagini dei ragazzini impazziti della giungla vietnamita (il "Verde"), che massacrano interi villaggi solo perchè a un certo punto la testa non gli funziona più. Sta nel ricordo di una vecchia "mamasan" uccisa nel Verde che torna a trovarti ogni giorno, senza dire una parola, ma ricordandoti con la sua sola presenza che non sempre sei stato un essere umano. L'orrore sta in un capufficio che si trasforma in un mostro peggiore di quelli dei corridoi dell'Overlook Hotel. Nel piccolo potere che diventa abominio.

"Cuori in Atlantide" parla della "lost generation", la generazione di ragazzi americani che precipitò nell'orrore del Vietnam.
Una generazione che nacque spensierata e fiduciosa nel futuro, scoprì il rock and roll e il boom economico del dopoguerra ma troppo presto si trasformò in Atlantide: perduta, inabissata negli anni "tra la morte di John Kennedy e quella di John Lennon".
Finiranno in molti con le budella in mano e le sanguisughe appiccicate alla pelle, in una giungla troppo lontana da casa. Crivellati di colpi nei campus universitari come nel fango del delta del Mekong, combattendo i "dannati vietcong" o contestando il fatto stesso di andare a combattere.

Ma c'è dell'altro. "Cuori in Atlantide" parla del primo amore. Di come il primo bacio sia la misura con cui valutiamo tutti gli altri baci della nostra vita, trovandoli sempre un po' meno travolgenti. Parla di magia, di quella luce particolare che colleghiamo alla fine dell'infanzia. Una luce che, nel ricordo, sembra sempre più abbagliante.
Parla della fine dell'adolescenza. Quel momento in cui se non stiamo molto attenti finiamo per perdere "non solo l'innocenza ma anche la speranza", trasformando i bambini che eravamo in adulti grigi e disillusi convinti che nascondere i sentimenti sia il modo migliore per non farsi più male. Invece è il peggiore degli errori, anche se di solito ce ne rendiamo conto solo quando è troppo tardi.

Infine, soprattutto, "Cuori in Atlantide" parla di informazioni. Quelle che ci scambiamo tra persone amate, tra amici, tra compagni di scuola, università, trincea.

Un buon libro è un'informazione.
Un bacio è un'informazione.
Il sesso è un'informazione.
La musica è un'informazione.
Avere il coraggio di non mentire a se stessi e agli altri è un'informazione.
Essere umani è scambiarsi informazioni.

Senza informazioni tutto scompare, si rimane in balia del delirio, della stupidità, degli abusi, degli "uomini bassi" che ci schiacciano senza nemmeno vederci davvero, per un po' di denaro e potere in più o, a volte, per pura stupidità, come i tanti, troppi Ronnie Malenfant di questo mondo.
Di questo, in filigrana, parla Stephen King in "Cuori in Atlantide", raccontando in maniera struggente un'infanzia, una guerra, un'adolescenza e un amore.
Ci riesce benissimo, e per questo mi gioco, in questo caso, l'infida parola "capolavoro".

Perchè non solo sono stata Carol Gerber per 500 pagine lette d'un fiato, ma lo sono ancora, ogni giorno, e lo sarò per sempre. Come sono stata Beverly Marsh (ma anche Eddie con il suo inalatore, il grasso Ben, Richie dalle mille voci) dopo aver letto "It".
Quando Carol nel libro legge la riga che conclude questa recensione, piange per tutto ciò che ha vissuto e perso, per tutto ciò che è stata e non è più, ma che forse da qualche parte c'è ancora. Quando l'ho letta io, nel 2000, ho pianto per gli stessi motivi. 

Quando l'ho riletta, tempo fa, dopo aver perso per sempre la persona più cara della mia vita, ho pianto di nuovo, per altri motivi. Perchè ci scambiavamo un sacco di informazioni da quando eravamo bambini e leggendo queste righe ho realizzato per la prima volta che non sarebbe successo mai più.

PEACE+LOVE=INFORMATION

Carico i commenti...  con calma