Ci si innamora troppo velocemente. E, si sa, troppo facilmente i fumi dell'amore inebriano le nostre indifese sinapsi con la conseguenza che l'impetuosa corsa verso l'oggetto del nostro desiderio troppe volte ci ha impedito però di essere degni amanti.

E' questo il caso di Stephen Malkmus, capoccia dei compianti Pavement, che, dopo essersi impersonato nel Bob Dylan dei tempi d'oro durante il making of della colonna sonora di "I'm Not There", è stato ammaliato dalla vecchia scuola. Una cotta del tipo B (Bastarda), dove l'amante e il sogno erotico sono separati da un'interminabile strada zeppa di figure di merda e sfottò. I risultati dell'improbabile amalgama partorito tra il prepotente chitarrismo che ha reso unico il leggendario periodo dei Sixties e dei Seventies e il songwriting del nostro Stefanino, infatti, non sono che i frutti di quest'amore impossibile.

Lo si nota subito dall'opener "Dragonfly Pie", che si apre con un riffone inoffensivamente distorto e si slancia in un ritornello ad alto tasso glicemico. "Hopscotch Wille" nasce anch'essa da un edulcorato nocciolo melodico, che si sguscia in fiacche divagazioni di chitarre messe in acido ma non nella giusta dose. Quest'esagerato gusto per il vintage raggiunge l'apice nei dieci minuti della title-track, una sorta di electric jam mal riuscita che si chiude in un beat danzereccio, e nella sterile "Baltimore", baccanale di psichedelia da salotto e innocui assoli chitarristici. Solo dalla line-up dei Jicks, in ogni caso, si poteva scorgere quanto fosse impraticabile fosse la via di queste soluzioni artistiche. Due aggraziate donzelle come la sballonzolante Janet Weiss, ex Sleater-Kinney, e Joanna Bolme, che produsse alcuni album del mai abbastanza rimpianto Elliott Smith, non garantiscono un gran tiro al chitarrismo di Stephen Malkmus, che, comunque, non ha dalla sua la dote di essere un gran rocker. Sembra proprio, a sprazzi, via con le iperboli, di ascoltare la copia sfigata dei Television o la versione pop degli Hawkwind per poppanti.

Meno male che c'è il passato che, come una vecchia ex ancora innamorata, aiuta il nostro Stefanino e salva il salvabile. Qualche melodia dei Pavement, scrostata dell'antico lo-fi, e il gioco è fatto: "Cold Son", che sembra essere presa in prestito dai Belle & Sebastian, e "Out of Reaches" e "Gardenia", briose nenie che potrebbero essere il pezzo forte di qualsiasi band del litorale californiano, per quanto anonime, sono comunque piacevoli dimostrazioni di un certo gusto melodico. 

"Real Emotional Trash" (sua quarta fatica solista) è il disco che dimostra di come il nostro Stefanino non sappia fare quel rock'n'roll tosto e sudato che ci fa sentire virili. Una carenza di idee (le conclusive "Elmo Delmo", "We Can't Help You" e "Wicked Wanda" vanno avanti per inerzia) che viene gonfiata in maniera imbarazzante da un minutaggio che, coi suoi 55 minuti, non sta assolutamente dalla parte dei Jicks. Dalla sua, Stephen Malkmus ha ancora la sua straordinaria (e anche visionaria) sensibilità melodica che, come qui dimostrato, scorre ancora nelle sue vene. Come per dire: Stefà, 'un esagerà!

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