La marginalità al potere. Sembrerebbe questa la filosofia di vita dei Stereolab da vent'anni a questa parte. E io che adoro la marginalità non posso che essere d'accordo. Il loro tratto piu distintivo è lo stile delle loro copertine, sempre uguali, simili a quelle dei dischi che il venditore dei nuovi e rivoluzionari impianti Hi-Fi ti faceva ascoltare negli anni 70 per esaltarne le proprietà stereofoniche: musica non-musica prodotta solo ed unicamente per questo scopo. Nel loro caso il prodotto "disco" assurge a vero e proprio feticcio, ne è prova la non comune (parliamo del 1991) gestione delle loro produzioni, ultralimitate, vendute solo ai concerti, che stanno diventando un'ossessione per i collezionisti "seri"; le valutazioni di Record Collector edizione 2010 parlano chiaro: dalle 100 alle 200 sterline per accaparrarsi i loro primi 45 giri. Altra cosa marginale, il recupero delle sonorità "altre" rispetto a quelle in voga nell'Inghilterra psycho-dream di inizi 90.

Gli asettici Neu! di "Hallogallo", paradigmatici finchè volete ma sul monotono spinto negli anni 70, vengono reimpostati ed assurgono con loro a nuova vita diventando base di partenza e ganga da cui, non molto spesso a dir la verità, disotterrano pepite pop che, proprio per la loro rarità, sono come un'oasi in mezzo al deserto: una dissetante "Pack Yr Romantic Mind" avrebbe avuto lo stesso effetto se non fosse stata incastonata nel mare magnum di ripetitività e minimalismo di "Transient Random"? Io credo prorio di no. Anzi, penso proprio che questo modo d'agire sia il tratto distintivo dei Stereolab, studiato a tavolino fin dai tempi dei McCarthy da un Tim Gane poco soddisfatto dalla sterile e uniformante piega che il pop stava prendendo. Trovata la sua musa in Laetitia Sadier dà vita ad un progetto rivoluzionario ancorchè semplice: recuperare il motorik tedesco degli anni 70 (e i Velvet Underground, ma loro non contano più ormai: il sound Velvet è biologicamente interiorizzato da chiunque prenda in mano uno strumento), utilizzando strumenti  demodè - organi Vox, Farfisa, Moog -  ed abbellirlo di nuances pop, colonne sonore italiane di film drammatici (Morricone e chi sennò!), tratti exotici e chic superbamente rappresentati dalla voce ammaliante della Sadier . Colpisce di loro la capacità di saper creare bolle di serena piacevolezza, attimi di suadente sorpresa, tanto più preziosa perchè sai che da un momento all'altro potrebbe essere cancellata dalla rotolante reiteratività krauta.  

Il disco in oggetto è il terzo della serie "Switched On", raccolte che fanno un po' d'ordine nella loro confusa e frammentaria produzione, recuperando lati b, tirature limitate e quant'altro. C'è tutto il mondo Stereolab.

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