E' un flusso continuo quello degli Stereolab, non ci si può fermare a riflettere, capire quello che sta succedendo, soffermarsi sui dettagli. Bisogna solo rimanere incollati alla sedia (meglio se legati) ed ascoltare.
Non c'è una direzione, una meta precisa d'arrivo, l'importante è correre.
E' sicuramente l'aspetto ritmico a colpire inizialmente, con quel suo incedere ineluttabile, non c'è via di scampo, anche il tuo orologio interiore inizierà ad andare a tempo col disco. Ma cercando di scendere nel profondo, di completare l'operazione cardiochirurgica, si scoprirà che all'interno dei tredici brani c'è anche molta melodia.
Un disco di rara completezza, il loro capolavoro probabilmente. Anche la scaletta dei brani è perfetta, dettaglio non trascurabile, tesa a creare questo continuum nella testa dell'ascoltatore, con ogni finale di canzone che s'interseca in maniera precisa e melodica con la successiva.
Largo uso di archi negli arrangiamenti, anche se non in maniera invasiva. Non si può parlare qui di vere e proprie orchestrazioni, quanto di puntuali iniezioni di melodica rapidità, che apre a scenari più liberi, ariosi, diversi dal solito insomma.
Pensiamo poi ai testi, che per la maggior parte sono un invito alla socialità, al riuscire ad ammettere le diversità altrui, senza trovare delle scuse per giustificare ottuse logiche nazionali. Un invito a guardarci per le cose che abbiamo in comune piuttosto che sottolineare le nostre differenze. Stigmatizzare, dividere, sono concetti che dovrebbero esser lasciati da parte. Qui tutto è unito, compatto, aderente. "Whole" direbbero gli inglesi.
Laetitia Sadier fa un gran lavoro sulle liriche, scandendo ogni parola per tutto il corso dell'album, il gruppo le va dietro, arricchendo e colorando le melodie vocali con vari strumenti, aggiungendo mano a mano un tassello, una pennellata, per arrivare all'opera completa.
In questo lavoro si sente ancora la compianta Mary Hansen, seconda importantissima voce del gruppo (ascoltare "Slow Fast Hazel" per credere), malauguratamente deceduta nel 2002 a causa di un incidente stradale. Da lì in poi non sarà più lo stesso, il meccanismo s'é rotto.
Non mancano le sferzate elettriche più incalzanti e gli arresti più atmosferici, che lasciano respirare qualche secondo; l'incedere progressivo di "Metronomic Underground" e il finale di psichedelica memoria velvettiana che potrebbe continuare fino al disco successivo...
Emperor Tomato Ketchup si colloca, a mio parere, come uno dei lavori più riusciti degli anni Novanta, con la sua perfezione chirurgica nel dosare inventiva ritmica a sperimentazione melodica.
Professionisti del suono gli Stereolab, che in questo album riescono a tradurre in emozioni, senza rimanere degli automi della composizione, fine a sé stessa.
In fin dei conti si sa, il tutto è maggiore della somma delle singole parti.
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